SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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martedì 5 settembre 2017

Che fatica completare il periplo del Peloponneso!

Giovedì 31 agosto 2017 - 109° giorno di viaggio
Lagouvardos - Kyparissia (26 km)
Vento NW 12-15 nodi (F4) - mare mosso - 28°C
Ci svegliamo in un nuovo giorno.
Il temporale di ieri con grandine e trombe d'aria non ha lasciato alcuna traccia.
Il mare che si era macchiato di terra, ora è tornato a brillare di un bel verde smeraldo; il cielo che si era tinto di grigio, ora è tornato a splendere di un bel blu intenso. Il vento ha pulito l'aria e l'acqua. I colori delle piante sono caldi e corposi, come sempre dopo un acquazzone, e la spiaggia ha ancora una tonalità scura, dovuta alla pioggia che l'ha intrisa d'acqua e frescura.
E' un piacere svegliarsi sotto i tre ginepri che così bene ieri ci hanno protetto dal mal tempo e che ancora meglio stamattina ci proteggono dal sole cocente. Nell'aria si respira la fine incipiente della stagione estiva, ma il disco solare continua imperterrito a fare il suo mestiere: alle nove del mattino è già tutto asciutto, compresa la nostra tenda.
Uno dei due stabilimenti balneari ha riaperto i battenti dopo la chiusura forzata per la mancanza di energia elettrica: ci facciamo preparare due caffè frappè, i più buoni tra tutti quelli che abbiamo sin'ora gustato in giro per il Peloponneso.
Impieghiamo un po' più del solito a ripulire i gavoni ed il pozzetto dalla sabbia fine che si è infilata ovunque, persino dentro le sacche stagne e le custodie della mappa e del pannello solare, ma alla fine abbiamo la meglio: è tutto pronto per affrontare un'altra giornata di vento contrario.
La costa adesso è tutta uguale, sempre bassa e rocciosa, di questi scogli traforati come all'uncinetto, per la violenza con cui l'acqua e l'aria li hanno lavorati nel tempo: lo scalino roccioso però non nasconde più le case, le ville e gli alberghi che sorgono disordinati oltre la strada costiera.
E' forse il tratto di costa meno interessante di tutto il Peloponneso.
Fortuna che c'è il mare: lungo la costa rocciosa si rincorrono una serie di secche insidiose che ci costringono a tenere sempre d'occhio le onde.
In alcuni punti gli scogli semi-sommersi sono ben visibili perchè il loro colore giallo intenso fa cambiare tonalità all'acqua: basta modificare di poco la rotta per evitare di piantarci sopra gli scafi dei Voyager. In altri casi, invece, quando le onde frangenti sono grandi abbastanza da ricoprire tutto di un'uniforme bianco spumeggiante, allora bisogna prestare maggiore attenzione ed in più di un'occasione siamo costretti a prendere una distanza di sicurezza dai bassi fondali rocciosi. E' tutto così, oggi, uno zigzagare lento ed attento lungo una costa lineare ed insignificante.
Non ci sono sbarchi possibili per i primi dieci chilometri, salvo una piccola spiaggetta formatasi alla radice di un porticciolo artificiale che contiene si e no tre caicchi colorati. Non ci sembra quasi possibile che, tra queste scogliere taglienti ed appuntite si possa aprire una spiaggia. Eppure è così: la troviamo dove doveva essere, la piccola cala di Stomio, larga abbastanza da ospitare uno stabilimento balneare che la ricopre di ombrelloni di paglia e così rientrata rispetto alla linea della costa che hanno costruito due scalinate in pietra per poterla raggiungere da terra. Noi sbarchiamo tra gli sguardi sbalorditi di tutti i bagnanti: c'è un dumping di un metro buono e non appena usciamo dal pozzetto scompariamo tra le onde. Bagno fatto: adesso è il momento della barretta energetica. Una breve pausa di mezz'ora ci è sufficiente per riprendere il mare: anche l'imbarco offre spettacolo perchè dobbiamo girare i kayak di prua (lo scalino della spiaggia è talmente alto che preferiamo farlo una volta in acqua) e dobbiamo attendere che passi il treno d'onde più corposo prima di poter saltare in groppa ai Voyager. Insieme a noi entra nel pozzetto anche qualche litro d'acqua di troppo e prima di ricominciare a pagaiare dobbiamo zatterarci per usare la pompa di sentina a mano: l'asciugatura dura poco, perchè ormai i nostri paraspruzzi sembrano delle spugne per i piatti!
Dopo cinque chilometri abbiamo la fortuna di incontrare un altro porticciolo, Agrilis, questo un po' più grande del precedente ma molto più miserevole perchè l'ingresso è incoronato da secche su ogni lato: quando entriamo al galoppo, capita di nuovo che si girino tutti a guardarci con tanto d'occhi. Qui la pausa è ancora più breve, Mauro neanche sbarca: io svuoto il pozzetto una seconda volta e sono pronta a tornare in mare aperto, lontano dalle secche, come ci suggerisce a bracciate ampie e decise anche il pescatore sul molo. Il porticciolo di Agrilis è tutto dipinto di celeste e ha una sirenetta celeste che accoglie i naviganti a braccia aperte: sembra fare il paio perfetto con l'albergo che abbiamo da poco passato, con le guglie rosse come i castelli delle fate e con un gigantesco cavallo bianco affiancato da due figure altrettanto imponenti che non si capisca bene a cosa servano.
Il mare nel frattempo è cresciuto, tanto e bene.
La piccola lavatrice che durante la tarda mattinata ci offriva una certa spinta per risalire il vento, nel primo pomeriggio è diventata così nervosa che dobbiamo non solo allontanarci ancora di più dalla costa ma anche prestare un'attenzione crescente alle onde. Ora sono alte un metro e più, alcune morbide sollevano i kayak e li depositano poco più avanti, altre invece dispettose si arricciolano proprio sulle prue e sembrano voler ostacolare il nostro passaggio, altre ancora più corpose ci precipitano addosso e non c'è verso di evitarle. Guardo Mauro che in un paio di occasioni è costretto ad uno dei suoi appoggi alti da manuale e rimango sempre ammirata dalla sua capacità di prevedere e di contenere gli assalti del mare. Io mi limito a saltellare qua e là, cercando di anticipare i frangenti per non vedermeli caracollare in testa e... mica sempre ci riesco!
Poi qualcosa cambia all'improvviso, non capiamo se nella costa che diventa ancora più bassa oppure nei fondali che sono forse tutti sabbiosi: sta di fatto che la nostra velocità di crociera passa dai 2 ai 3 nodi in uno schiocco di dita e l'ultima ora possiamo "recuperare" un po' di strada e raggiungere il grande porto sovradimensionato di Kyparissia, gigantesco ma privo di luci di segnalazione all'ingresso. La diga foranea spezzata nel punto esatto in cui è stata prolungata verso nord ci fa capire che qui il mare, quando si arrabbia, è capace di combinare disastri. Sbarchiamo sull'unico scivolo disponibile, ricoperto di alghe e strane foglioline verdi, forse di una siepe che qualcuno ha tagliato nei paraggi.
C'è una taverna proprio davanti al porto, e anche un mini-market. La serata è segnata.

Il castello delle fate nei pressi del porticciolo di Argilis...
Appena oltre l'isolino di Proti...
Il porto danneggiato di Kyparissia

Venerdì 1°settembre 2017 - 110° giorno di viaggio
Kyparissia - Aghios Nikolaos (28 km)
Vento NW 5-6 nodi (F2) - mare poco mosso - 27°C
Dobbiamo accontentarci di una palma.
Montiamo la tenda in porto all'ombra di una palma: all'ombra notturna, perchè ci fa scudo rispetto al doppio lampione che spara luce gialla nel pieno della notte. Al mattino, invece, niente ombra: il sole sorge da dietro i monti della bella cittadina di Kyparissia e infuoca la nostra tendina già alle otto del mattino.
Abbiamo mangiato così bene ieri sera che stamattina torniamo a fare colazione nella stessa taverna, che è anche caffè e ouzeri. Ma è chiusa. L'inizio del mese di settembre segna anche la fine di molte attività turistiche legate alla stagione estiva. Cerchiamo un altro bar lungo il porto ma sono tutti chiusi: per la prima volta ci ritroviamo a fare colazione in albergo, davanti alla piscina già invasa dai bambini. Il buffet è ricco e Mauro pazienta il tempo necessario per farmi fare il pieno di calorie: yogurt col miele, torte di carote e di sesamo, panzerotti fritti col miele e... basta, sennò finisce, come mi dice sempre lui, che non riesco più ad entrare nel pozzetto del mio Voyager!
Mentre ieri non c'erano sbarchi possibili se non ogni dieci chilometri, oggi ci sono oltre trenta chilometri di sbarchi fattibili (e anche domani sarà lo stesso!): la lunga spiaggia di sabbia dove vengono a deporre le uova le tartarughe marine si estende da Kyparissia fino a Katakolo, sessanta chilometri più a nord.
Dal sito di Archelon, l'associazione che dal 1983 si occupa di proteggere le tartarughe marine, scopriamo un sacco di cose interessanti che ancora non sapevamo: tipo che le tartarughe sono contemporanee dei dinosauri ma che a differenza di questi ultimi non si sono estinte fino ai giorni nostri (anche se ora rischiano l'estinzione per la difficile convivenza con gli esser umani); che possono rimanere anche per sei ore sott'acqua senza avere bisogno di uscire per respirare; che le femmine tornano a riva per deporre le uova ogni due anni, mentre i maschi non spiaggiano mai per tutta la vita; che dei giovani esemplari si sa poco: dopo l'uscita dal nido e la corsa sulla spiaggia per raggiungere l'acqua, nuotano freneticamente verso il mare aperto per i primi giorni di vita e poi si lasciano trasportare dalle correnti. Dove? Non si sa con precisione. Si è scoperto solo che prima di tornare a deporre le uova, le tartarughe marine si nutrono prima di plancton e di altri organismi marini, poi da adulte anche di meduse, molluschi, spugne, alghe e ricci marini. Nuotano senza fretta, incapaci di eseguire movimenti veloci: sono la quinta essenza della lentezza.
Grazie al sito articolato ed aggiornato di Archelon, approfondiamo anche la nostra conoscenza delle tartarughe Caretta caretta: le femmine depongono le uova di notte, scavando buche profonde con la coda e le zampe posteriori, ma possono anche lasciare la spiaggia prescelta se vengono disturbate o se ci sono troppe luci nei dintorni; durante la cova, producono un liquido simile alle "lacrime", che le aiuta a lubrificare gli occhi e a proteggersi dalla sabbia; depongono dalle 50 alle 120 uova, che impiegano dalle 7 alle 10 settimane per aprirsi; i piccoli ci mettono dai 2 ai 4 giorni per salire in superficie ed escono dal nido solo di notte o di primo mattino, quando il sole non è così forte da intorpidirli, ed iniziano così la loro lotta per la sopravvivenza. I nidi rischiano di essere distrutti dal vento, dalla pioggia o dal freddo (oltre che dalle innaturali alte maree oppure dalla sempre più frequente erosione costiera!), le uova di essere predate da cani, volpi e sciacalli, i piccoli di essere mangiati da gabbiani, cormorani e corvi, in acqua poi possono essere divorati da pesci di grandi taglie come gli squali. Insomma, una vita difficile! Però una cova di 110 uova può "produrre" una prima schiusa tra le 35 e le 50 uova, seguita dopo un breve periodo compreso tra i 2 ed i 10 giorni da altre 2-3 schiuse tra le 5 e le 20 uova... un continuo flusso di piccoli che aspettano che si liberi lo strato superiore di sabbia per uscire all'aria aperta e tentare la corsa verso il mare. Tutti questi dati ci aiutano a capire che si tratta di animali davvero speciali, minacciati sempre più dall'uomo: il centro di ricerca di Archelon cura circa 50 esemplari ogni anno, tra quelli che vengono trovati in mare con amputazioni provocate dalle reti da pesca o dalle eliche dei motori o con lesioni procurate intenzionalmente dagli stessi pescatori, ed alcune tartarughe devono essere curate per avere ingerito buste di plastica o altre schifezze che l'uomo butta in mare e che le tartarughe, miopi benchè dotate di un senso dell'olfatto sviluppato, scambiano per cibo prelibato! Inoltre, i volontari di Archelon monitorano i nidi e li proteggono con un moderno sistema molto ingegnoso: non più i tre piedi di legno per segnalarli che vedevamo negli anni passati, ma un rete metallica a maglia larga per tenere fuori i predatori e far uscire i piccoli, ancorata con delle canne spiaggiate infilate nella sabbia con un'inclinazione alternata per resistere al forte vento (in una maniera per me molto "artistica" e per Mauro semplicemente funzionale!), sempre segnalati con un cartellino metallico o plastificato che nella maggior parte dei casi riporta anche la data della cova.
Io resto ammaliata da tutte queste informazioni e le racconto a Mauro durante la nostra lunga, lenta e (quasi) noiosa pagaiata odierna.
La spiaggia di Kyparissia, specie nel suo tratto meridionale tra il paese di Kalo Nero e la foce del fiume Neda, dove stiamo pagaiando proprio ora, è il sito di nidificazione delle tartarughe marine più importante del Mediterraneo dopo quello dell'isola di Zante, con il numero record di 870 nidi all'anno!
Dal kayak vediamo decine di nidi segnalati e protetti: sono l'unico diversivo che ci offre la costa. Per il resto sabbia, dune e pinete. Secche e surf per l'intera giornata. Fortuna che il vento è molto meno intenso di ieri, altrimenti sai che dolori!
Riusciamo a tenere una buona andatura, a sbarcare per una breve sosta all'altezza di una pineta incantevole, e a proseguire senza scambiare una parola fino alle sette di sera: montiamo la tenda in spiaggia, davanti ad un vecchio campeggio abbandonato che nel frattempo è stato occupato da punk-a-bestia e tedeschi in vena di far festa... tramonto sul mare con cena spicciola e nanna già alle nove!

In navigazione lungo la costa nord-occidentale del Peloponneso... 
La lunga spiaggia di sabbia tra Kyparissia e Pyrgos...
L'imbarco studiato ad Aghios Nikolaos...

Sabato 2 settembre 2017 - 111° giorno di viaggio
Aghios Nikolaos - Foce fiume Alfios (24 km)
Vento NW 6-8 nodi (F2-3) - mare poco mosso - 27°C
Abbiamo dovuto tirantare la tenda ai kayak perchè il vento non è calato neanche di sera.
Al mattino c'è appena una brezza e la sabbia non si infila più nei gavoni.
Quando la spiaggia comincia ad animarsi noi leviamo il campo.
Per uscire dalla zona di surf impieghiamo quasi venti minuti, in attesa che il treno di onde diventi meno alto e frequente. I fondali sabbiosi e digradanti sono disseminati di secche ed ovunque si formano onde lunghe e bianche che da ieri ci impensierivano un po'. Dopo l'imbarco dobbiamo zatterarci per svuotare i pozzetti dall'acqua e per togliere la sabbia dai sandali e dal seggiolino.
Veniamo subito ripagati dalla fatica con l'incontro ravvicinato con una tartaruga gigantesca: la prima che non tira mai fuori la testa dall'acqua e che si limita a girarsi di spalle quando i kayak sono troppo vicini. Una tartaruga intenta a fare snorkeling! Pensiamo non si tratti di un esemplare di Caretta caretta perchè il carapace, rivestito di incrostazioni, sembra di una forma e di un colore leggermente differenti, ma non riusciamo a scovare informazioni precise, neanche sul sito di Archelon, che pure menziona due specie diverse che pare nidifichino nel Mediterraneo. Pazienza, rimarremo col dubbio. Ma con la grande soddisfazione di avere navigato per qualche lungo minuto in compagnia di una tartaruga che non ha mostrato il minimo fastidio o timore per la nostra presenza. Durante il resto della giornata ne avvistiamo altre quattro, due a testa, a turno, ma non facciamo mai in tempo ad indicarle all'altro che tutte si nascondono tra le onde e si immergono verso il fondo. E' la giornata dell'avvistamento delle tartarughe marine, ma le incontriamo sempre quando si muovono in direzione opposta alla nostra, e così si accorgono prima loro di noi di quanto noi non riusciamo ad accorgerci di loro.
La lunga spiaggia di sabbia oggi è molto meno interessante, con un lago retro-dunale di oltre quattro chilometri e poi con oltre dieci chilometri di casette fantasma: costruite troppo vicino al mare, sono state distrutte dalle mareggiate e ora mostrano le pareti screpolate, i tetti crollati, le verande divelte, le scalinate sospese e le finestre aperte sul nulla. E' uno spettacolo che immalinconisce.
Per sbarcare senza romperci l'osso del collo tra i frangenti spumeggianti scegliamo di risalire un breve tratto della foce del fiume Alfios, il fiume più grande tra quelli che segnano la lunga spiaggia di sabbia tra Kyparissia e Pyrgos. La corrente contraria è talmente forte che quando per un momento smetto di pagaiare mi ritrovo a correre all'indietro alla velocità segnata dal gps di 5.4 chilometri orari: i nostri due kayak sembrano non avanzare di un millimetro e per risalire quei pochi metri impieghiamo un'eternità. Per non rischiare di essere traversati dal turbolento movimento dell'acqua, che alla foce sobolle come una pentola sul fuoco e che si incrocia con le onde del mare in un movimento identico a quello delle correnti di marea, dobbiamo esibirci anche in un paio di "traghetti" ed inclinare lo scafo per spostarci da una sponda all'altra del fiume senza essere spinti fuori.
Qui tutti pescano con la rete rotonda, quella che si deve lanciare a raggiera in acqua e che si ritira lentamente: il terzo pescatore in cerata di tela e giaccone invernale accanto al quale ci ritroviamo a pagaiare in maniera forsennata attende soltanto che passi Mauro, poi mostra segni di impazienza e getta la rete proprio davanti alla prua del mio kayak, costringendomi ad un altro "traghetto" improvviso, accompagnato da un sorriso stentato. Quando la ritira è vuota, come le volte precedenti, e ci chiediamo quanto possa essere davvero soddisfacente questo tipo di pesca dalla riva.
Dopo una decina di minuti di navigazione controcorrente riusciamo finalmente a coprire la brevissima distanza tra la foce ed il nostro campo base, contenti di avere trovato un luogo tanto insolito (e sporco!) ma almeno senza onde frangenti ad impensierire lo sbarco della sera e l'imbarco della mattina dopo. L'acqua è fredda e maleodorante, la spiaggia appena oltre la foce è ricoperta di canne e di bottiglie di plastica, a cui viene dato ripetutamente fuoco dai pescatori che occupano la zona vivendo in piccole palafitte di legno. Quella più vicina al nostro campo si riempie di gattini rossi quando il pescatore si fa vivo al tramonto: sfama i gatti e disseta i canoisti, offrendo a Mauro una bottiglia di vino rosso che è un piacere mandare giù!

Le casette fantasma verso Pyrgos...
Il campo sulla riva meridionale del fiume Alfios...

Domenica 3 settembre 2017 - 112° giorno di viaggio
Foce fiume Alfios - Palouki (33 km)
Vento SW 5-6 nodi (F2) poi NW 15-18 nodi (F4-5) - mare da calmo a mosso - 28°C
Il pescatore che ieri sera ci ha regalato uno bottiglia di vino, stamattina ci offre anche due bottiglie di acqua fresca.
Usciamo dalla foce del fiume con la corrente a favore e non dobbiamo tribolare come abbiamo fatto ieri per entrare.
Appena fuori dalla foce troviamo corrente e vento a favore e quasi non riusciamo a crederci: le previsioni annunciavano vento da nord-ovest, come al solito, mentre con questa brezza da sud riusciamo a mantenere una velocità costante di sette chilometri orari (quasi doppia rispetto a ieri!) che in tre ore esatte ci porta a doppiare il capo. Siamo contenti di lasciarci alle spalle il lungo litorale sabbioso che unisce Kyparissia a Pyrgos, ancora sormontato da case fantasma e anche peggio, da interi paesi cresciuti sulla spiaggia e col tempo mangiati dalle mareggiate: qui hanno creato delle barriere di protezione delle case che non sono ancora crollate usando le macerie di quelle che invece hanno ceduto. E' uno spettacolo ancora più malinconico di quello di ieri... Però devono esserci state delle mareggiata notevoli, così forti e ripetute da far arretrare la linea della spiaggia di qualche centinaio di metri, perchè anche i nostri due gps segnalano che noi stiamo pagaiando non già in mare ma sulla terra ferma!
Il porto di Katakolo è sovradimensionato come quello di Kyparissia, ma forse qui approdano le navi da crociera che portano i turisti a visitare la vicina città greca di Olimpia e questo è forse l'unico porto ingigantito a ragion veduta (di molti altri non sappiamo spiegarci la ragione!)
Meno male che a distrarci dalla monotonia del paesaggio costiero ci pensa il mare: avvistiamo altre due tartarughe di notevoli dimensioni, sul capo giochiamo con una piccola ma evidente corrente di marea ed appena oltre incrociamo centinaia di meduse lattiginose che si lasciano trasportare di qua e di là. Appena oltre Akrotiri Katakolo ci rifacciamo gli occhi con le basse scogliere di arenaria giallo-ocra e rosso-mattone, anche se pure qua ci sono case dappertutto, ma almeno sono ben tenute. Facciamo una breve sosta in una piccola spiaggia ai piedi di un locale abbandonato e riprendiamo subito dopo con l'intento di raggiungere il porticciolo di Palouki, perchè se il vento cresce e cambia direzione non vogliamo trovarci ancora tra i frangenti, nè allo sbarco di stasera nè all'imbarco di domattina.
Sembra che Eolo stia ascoltando i nostri discorsi: il vento si alza, contrario, e rinforza.
Tanto che per coprire gli ultimi quattro chilometri impieghiamo la bellezza di un'ora piena.
Per entrare nel porto facciamo fatica: ci sono onde frangenti che entrano insieme a noi ed appena oltre la diga foranea troviamo l'ingresso ostruito da massi semi-sommersi, segnalati in maniera approssimativa da canne infilate nel fondale e sormontate da bottiglie di plastica vuote e rovesciate. Questi greci hanno un rapporto davvero peculiare coi loro porti: ci pescano dentro ma non rimuovono le barche che dentro ci sono affondante.
Noi sbarchiamo sull'unico scivolo di cemento (ricoperto di sabbia!) e tiriamo i nostri due piccoli panfili in secca adagiandoli accanto ad un piccolo panfilo vero e proprio. Il tramonto ci ricorda che comincia a fare fresco: il vento non accenna a calare e trovare un posto per montare la tenda non sarà facile. Ci pensiamo dopo. Adesso ci prepariamo per andare a cena in taverna: sul mare!

Appena oltre Akrotiri Katakolo...
Il porto di Palouki...

Lunedì 4 settembre 2017 - 113° giorno di viaggio
Palouki - Arkoudi (23 km)
Vento NW 18-21 nodi (F5) in aumento - mare da poco mosso a molto mosso - 26°C
Notte corta e tribolata: il vento ha sbatacchiato a lungo la nostra povera tendina e non ci ha fatto dormire sonni tranquilli.
Facciamo colazione al bar sul mare con un doppio caffè frappè: ci servono energie per risalire controvento gli ultimi venti chilometri.
Ultimi perchè se riusciamo a pagaiare tutto il giorno controvento, stasera raggiungiamo il punto in cui abbiamo iniziato il periplo del Peloponneso. Ci eravamo arrivati dopo la traversata dall'isola di Zante un paio di mesi fa, il 26 giugno scorso per l'esattezza. Ci torniamo oggi che tutto sembra congiurare contro di noi.
Il vento è annunciato in direzione contraria alla nostra rotta, in aumento dal primo pomeriggio e con raffiche superiori ai trenta chilometri orari.
Non lo sappiamo ancora ma sarà questa la giornata più lunga e faticosa di tutto il viaggio.
Mauro non è contento: pagaiare controvento lungo una spiaggia di sabbia è "la morte spirituale del kayak da mare", dice. La morte cerebrale, aggiungo io, perchè le onde frangenti, molto più alte e frequenti e minacciose dei giorni precedenti, non ci permettono neanche di prendere in considerazione l'ipotesi di sbarcare. Manca poco che litighiamo, l'Uomo di Ferro ed io, perchè lui sembra sempre impassibile, qualunque cosa gli succeda attorno, io subisco molto di più l'assalto delle avverse condizioni meteo-marine.
Dopo 18 chilometri controvento, rischio di dare di matto: non ne posso più di pagaiare e voglio solo sbarcare.
Sappiamo che c'è un porticciolo riparato nel paesino costiero di Ioniko ma non riusciamo a vederlo fino a quando non ci si para davanti la folta schiera di motoscafi ancorati dietro alla corta ed "artigianale" diga foranea, che sembra reggere a fatica gli assalti del mare. Mauro si avventura per primo a cercare lo scivolo, io lo perdo di vista, tra le onde frangenti ed i motoscafi all'ancora. Mi sento perduta, senza di lui. Aumento l'andatura e dopo pochi minuti lo ritrovo sulla banchina del molo, intento a svuotare il pozzetto ormai ricolmo d'acqua. Anch'io ho il kayak pieno d'acqua: i paraspruzzi sono ormai arrivati alla fine del viaggio, con qualche giorno di anticipo sulla vera fine del viaggio, però.
Tiriamo in secca i kayak con qualche difficoltà, dovuta sia alla (mia) stanchezza che alla carenza di qualsivoglia pezzetto di legno che possa facilitare lo scivolamento degli scafi su una superficie morbida e levigata piuttosto che sul cemento irregolare e bitorzoluto dello scivolo. Nel frattempo, due pescatori locali tirano in secca uno dei motoscafi all'ancora e nel risalire col carrello trainato dal fuoristrada strusciano pesantemente sulla prua del mio amato Voyager. Ci mancava solo questo per atterrare definitivamente la mia povera psiche.
Devo riprendermi: la giornata non è ancora finita.
Per distrarmi, provo a dare seguito al suggerimento del Mammut di rientrare in Italia non già dalla lontana Patrasso (distante ancora 4-5 giorni di navigazione, tutti controvento!) ma dalla vicina isola di Zante (che il forte vento avvicina come fosse a portata di mano!): cerco i traghetti ed i possibili collegamenti dal Peloponneso, dal piccolo porto di Killini situato una decina di chilometri più a nord (tutti sempre controvento, ma almeno sarebbero gli ultimi!). Ci sono traghetti ogni due ore che collegano il Peloponneso all'isola di Zante, ma poi c'è un ultimo traghetto per l'Italia che parte giusto domani pomeriggio. L'ultimo della stagione. Non riusciremmo a prenderlo neanche correndo contro il tempo. Considerando poi sugli orari del tutto indicativi dei traghetti greci, meno puntuali di quelli italiani, sarebbe un vero azzardo. Ed una scorciatoia. Che Eolo non ci lascia percorrere. Ci richiama all'ordine e al lavoro. E alla fatica.
Ci mancano gli ultimi cinque chilometri per raggiungere Arkoudi e chiudere il periplo del Peloponneso.
Cinque chilometri controvento che ci richiedono la bellezza di due ore piene, dalle sei alle otto di sera.
Per due ore mi chiedo perchè mai ci siamo rimessi in mare, perchè ci siamo incaponiti con l'idea di chiudere il periplo proprio oggi, perchè non ce ne siamo rimasti a terra ad aspettare che il vento calasse, magari montando la tenda sul molo di cemento del piccolo ed inospitale porticciolo di Ioniko... Ma perchè ci siamo imbarcati con questo mare e questo vento?
Le onde crescono ogni momento di più, insieme alle raffiche che ormai striano di bianco tutto il mare all'intorno e tutto il canale tra il Peloponneso e Zante. Le onde crescono fino a due metri, poi anche fino a tre metri, crescono e coprono il sole, adesso che il sole sta calando proprio dietro l'isola di Zante. Le montagne d'acqua sembrano ancora più minacciose al tramonto perchè diventano scure e nere come la paura. Che riesco a tenere a bada solo concentrandomi sui frangenti illuminati dagli ultimi raggi del sole, così lucidi e trasparenti da sembrare finti. E invece sono veri. E alti. Sempre più alti. Così alti che nascondono la costa e ci tolgono anche gli ultimi riferimenti a terra per capire se avanziamo e di quanto avanziamo. Non avanziamo granché, a dire il vero: ogni volta che poso lo sguardo sul gps e l'incipiente oscurità mi lascia intravedere la velocità di crociera, sullo schermo appaiono sempre e solo due numeri: 0.0! Non avanziamo di un millimetro. In realtà procediamo a 2.5 chilometri orari, una miseria, ma io non riesco mai ad intercettare questa indicazione e mi deprimo. Che fatica!
Ero già stanca prima di ripartire dal porticciolo di Ioniko, adesso non sono più soltanto stanca, sono esausta.
Mauro è davanti a me e mi indica la rotta migliore da seguire tra tutte queste montagne d'acqua. Ad un certo punto mi rendo conto che gli sto scattando delle fotografie: allora vuol dire che non sono poi del tutto spossata, posso ancora trovare qualche residuo di energie per arrivare fino alla fine. Ma la fine ancora non si vede. Il capo è lontano, laggiù dietro a quelle onde. Laggiù dietro a quel treno d'onde infinito. Laggiù dietro a quelle secche continue e minacciose.
Per un attimo penso di non farcela, ad entrare in quel turbinio di frangenti alti come una casa.
Poi Mauro mi sprona e mi dice "vai avanti tu!". Sa che non riesco a sopportare l'idea di vederlo andare su e giù su quelle onde impazzite senza perdere quel poco di lucidità mentale che mi rimane: mi suggerisce di fargli strada per farmi stare tranquilla, almeno non ho la sua immagine che sobbalza tra i marosi e che mi anticipa la sorte a cui io stessa dovrò andare incontro. Seguo il suo suggerimento: lo precedo nella piccola baia di Arkoudi. Me la ricordo benissimo da due mesi prima: non è cambiato niente, la spiaggia a mezza luna, le casette ed i ristoranti che arrivano fin sul mare, gli scogli che proteggono l'altro versante. E' cambiato solo il mare: adesso è una distesa continua di frangenti spumeggianti che striano tutto di bianco, in perfette linee longitudinali che partono dal mare aperto e arrivano fino in spiaggia.
Ecco, torniamo ad Arkoudi nella giornata meno indicata dell'estate.
Quando il vento è più forte ed il mare è più arrabbiato.
Entriamo ad Arkoudi col cardiopalma. Facendo la gimcana tra le onde, evitando quelle più grosse, frenando per aspettare che passino, accelerando per sfuggire alle altre, scrutando dietro ogni collinetta liquida per scoprire se le successive ci franeranno addosso. Ho il batticuore. Ma arrivo a riva. E pure Mauro. Che però, quando sta per mettere il gps in sicurezza per lo sbarco, se lo vede strappare via di mano dall'ultima ondicella frangente: dovendo scegliere tra rovesciarsi ed agguantare al volo il gps, prevale l'automatismo di uno dei suoi appoggi da manuale e... addio al gps! Lo cerchiamo per un'ora, fino a quando non fa buoi completo, e poi ancora un paio d'ore domattina, ma niente, sembra svanito nel nulla, non galleggia e non è arrivato a riva, non è affondato e non si vede da nessuna parte tra le secche che si sono formate nella baia: il mare ha chiesto ed ottenuto la sua vittima sacrificale.
Festeggiamo così la chiusura del periplo del Peloponneso decisamente sottotono: solo dopo il secondo giro di tzipouro, in taverna, consideriamo che era un gps difettoso che ogni 2-3 giorni non prendeva più i satelliti ed andava in tilt per delle ore. Il nuovo sarà migliore!

Su e giù...
L'ingresso nella baia protetta di Arkoudi...
Il campo nello stesso punto del 26 giugno scorso...
Ecco fatto: abbiamo chiuso il periplo del Peloponneso!

Martedì 5 settembre 2017 - 114° giorno di viaggio
Arkoudi - Arkoudi (0 km)
Vento forte - mare mosso - 25°C
E niente. Finiamo per montare la tenda sulla spiaggia e per lasciarcela montata per l'intera giornata.
Ci rifugiamo nel locale sulla piazzetta centrale del paese che ci serve un ghyros tra i più gustosi dell'intero viaggio.
Davanti alla nostra tendina c'è un continuo via vai di coppie e singoli bagnanti e genitori con bambini che si recano in pellegrinaggio a scattare foto al mare in burrasca. I traghetti riescono ancora a partire e fanno la spola tra il Peloponneso e l'isola di Zante: ma noi non saremmo mai riusciti a raggiungere oggi il porto di Killini per prendere il traghetto per Zante e ripartire poi da lì alla volta dell'Italia.
Il vento è più forte di ieri, secondo le previsioni sempre molto precise ed attendibili raggiunge oggi il suo picco massimo.
Le onde ricoprono gli scogli fuori dalla baia di Arkoudi con treni frequenti, alti e ruggenti.
Noi ce ne stiamo tutto il giorno a terra, a riparo dalle raffiche violente che sollevano sabbia a tutto andare.
Festeggiamo la chiusura del periplo del Peloponneso seduti a tavola. Non male, dopo troppe giornate controvento!

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