SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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mercoledì 30 agosto 2017

Questo è il viaggio degli incontri in mare!

Domenica 27 agosto 2017 - 105° giorno di viaggio
Kamaria - Pylos (22 km)
Vento NW 10-12 nodi (F3-4) - mare da calmo a poco mosso - 29°C
Dormiamo sulla paglia appena tagliata, col profumo del fieno che riempie la tenda.
L'ombra delle canne sorte sul ciglio della strada sterrata ci proteggono dal sole fino a tarda mattina.
La notte è stata "animata" dall'eco lontana di una discoteca e dal vociare vicino dei pescatori usciti a notte fonda con un barchino a motore. Rientrano quando noi partiamo. La spiaggia si è riempita delle "solite" coppie di tedeschi che restano in ammollo per delle ore, silenziosi e guardinghi come solo loro sanno essere. Nella baia non tira una bava di vento ma vediamo le ochette che già imbiancano il mare al largo.
Il capo massiccio e roccioso che si protende verso la vicina isoletta di Sapienza è striato da righe rosse orizzontali create dalla stratificazione di arenaria rosso-dorata e grigia: è molto bello pagaiare sotto le sue scogliere alte e verticali, fissi col naso all'insù alla ricerca di qualche inserto particolare, o come capita appena oltre la punta, di qualche faglia indurita che il vento ed il mare hanno reso una sequenza di spigoli.
E' bella anche la grande baia successiva di Methoni, il paese che insieme a Koroni vanta la fortezza veneziana più grande delle penisola di Messinia. La rocca di Methoni è gigantesca, tutta merli e torrette difensive e mura a picco sul mare. Finisce in mare. Un ponticello in pietra la collega ad una torre spettacolare a base ottagonale e a tre piani con cupola finale, tutta in pietra di arenaria gialla e con i merli ancora quasi tutti intatti. E' molto suggestiva la posizione e le fotografie aeree che abbiamo visto nei giorni precedenti non rendono al meglio la bellezza di questa torre in mezzo al mare, abbarbicata ad un gruppo di scogli taglienti sui quali è impossibile sbarcare ma attorno ai quali si gode una panoramica unica. Pagaiamo per qualche lungo momento nella storia dell'occupazione veneziana della regione di Messinia, della successiva occupazione ottomana e della riconquista seppure breve della Serenissima, che vedeva nelle due fortezze di Koroni e Methoni le porte d'accesso al Mar Adriatico, grazie alle quali garantire la protezione delle rotte commerciali tra Venezia ed il Levante ma anche delle rotte dei pellegrini verso la Terrasanta (in una direzione contraria a quella attuale, a dimostrazione che le migrazioni umane ci sono sempre state, sempre ci saranno e mai si fermeranno!).
Ci lasciamo la torre di Methoni alle spalle e proseguiamo lungo le alte mura di fortificazione del resto del castello, in parte sbriciolatesi in mare per l'evidente attacco del tempo, delle intemperie e dell'incuria, ma in parte ancora ben conservate, con case matte e torrette e bastioni in ogni dove.
Se la baia di Methoni, affacciata su una piccola isoletta di arenaria stratificata, è fitta di barche in rada e di stabilimenti balneari sulla lunga spiaggia di sabbia ramata, oltre la torre e lungo la costa non incontriamo nessuno: sarà perchè non ci sono più punti di sbarco fino a Pylos, 15 chilometri più a nord, sarà perchè il mare crea sotto la scogliera rocciosa una lavatrice impostata sul programma "delicati" che però ci sbatacchia di qua e di là per tre ore piene, sarà perchè la domenica i "cafonauti" non si allontanano troppo dal porto principale, ma insomma noi ci ritroviamo da soli in mare: e non è affatto male!
La dorsale montuosa che corre tra Methoni e Pylos si allunga in una serie di ravvicinate colline di forma conica che prendono a salire man mano che procedono verso nord: la più alta e la più settentrionale è incoronata da otto pale eoliche che sembrano una coroncina bianca animata dal vento, visibili anche da notevole distanza. E' un punto cospicuo notevole, l'ultimo monte a ridosso di Pylos, ed il portolano segnala anche le diverse formazioni nuvolose che si addensano intorno al suo picco per riuscire a prevedere le condizioni meteorologiche dei giorni successivi.
Quando noi entriamo in paese, il monte è privo di nuvole, coperto di una fitta macchia mediterranea ed avvolto solo dai fischi di tre ragazzi che si dilettano a testare la cassa di risonanza naturale formata dal versante concavo ed aperto ad anfiteatro sul mare. Poco oltre si innalza un altro castello, questo a base esagonale con quattro torrette difensive, sempre di origine veneziana anche se costruito su precedenti fortezze bizantine, come è accaduto anche per molte chiese del luogo.
Pylos è un paesino di villeggiatura che si affaccia sull'ampia baia di Navarino, famosa per essere stata teatro sul finire dell'Ottocento dell'ultima grande battaglia navale combattuta esclusivamente con barche a vela, quella tra l'impero ottomano capitanato da Ibrahim Pascià e l'alleanza franco-russo-britannica accorsa in aiuto dei partigiani greci che da tempo cercavano di riconquistare l'indipendenza del loro piccolo paese: la battaglia navale deve essere stata davvero importante perchè qui ne parlano tutti, pure i monumenti della piazzetta centrale adornata da platani secolari piantati da alcuni capitani greci in qualche modo coinvolti proprio in quella battaglia cruciale della guerra di indipendenza greca (e che sortì esiti così diversi per i paesi alleati, come abbiamo scoperto su Wikipedia: i russi cercavano un possibile sbocco al Mar Mediterraneo ma dovettero presto rinunciare all'idea, i francesi premiarono il capitano della flotta col titolo di Ministro della Marina, mentre gli inglesi non furono affatto contenti della condotta pur vittoriosa del loro capitano ed arrivarono a sfiduciarlo - pare perchè interessati più a tenersi l'impero ottomano alle porte di casa piuttosto che a sconfiggerlo - al punto che la famosa battaglia di Navarino pare sia l'unica vittoria navale che la Royal Navy non ha mai festeggiato!).
La baia di Navarino è un'ansa naturale quasi perfettamente circolare protetta dal mare aperto da un'isoletta lunga-lunga e stretta-stretta, Sfaktiria, che chiude quasi interamente la baia da nord a sud, lasciando giusto un passaggio tra la costa e l'ultima sua propaggine rocciosa, una piccola isoletta staccata e caratterizzata da un altissimo arco naturale e qualche faraglione all'intorno.
L'ingresso dal mare a Pylos è molto suggestivo ma una volta in porto svanisce tutta la magia: l'odore è nauseabondo e non c'è neanche l'ombra di uno scivolo sul quale adagiare i nostri due piccoli panfili. Stiamo quasi per rinunciare quando scorgiamo l'ingresso di un secondo porticciolo turistico, segnalato da una luce verde e rossa (questa non funzionante!) e dotato, questo si, di uno scivolo di cemento, scivolosissimo ma utilissimo.
Sbarchiamo sotto lo sguardo incuriosito del proprietario di Baronessa Volante, un bella barca a vela tirata in secca sugli invasi proprio accanto al "nostro" scivolo: Giovanni è un simpatico velista settantenne padovano che ci accoglie con tutti gli onori e ci offre tutto quel che ha, corrente elettrica per ricaricare il laptop, acqua fresca per dissetare gli assetati e persino un sigaro toscano "Garibaldi" che Mauro già pregustava alla sola vista delle belle scatole verdi perfettamente impilate sul tavolino all'ombra.
Ce la raccontiamo fino a notte fonda!

Il campo all'ombra sulla spiaggia di Kamaria...
Lungo la penisola di Messinia...
Il capo striato di rosso che si protende verso l'isola di Sapienza... 
La splendida torre di Methoni
Le mura dell'antica fortezza veneziana...

Lunedì 28 agosto 2017 - 106° giorno di viaggio
Pylos - Paralia Voidhokilia (9 km)
Vento NW 12-15 nodi (F4) - mare mosso - 28°C
Il sole arriva tardi nel porticciolo turistico di Pylos.
Arriva prima il proprietario della barca a vela rossa accanto alla quale abbiamo montato la tenda.
E' un tedesco sposato con un'italiana di Udine, amico di Giovanni: prima di accendere il compressore per gonfiare le ruote del carrello su cui è adagiata la sua barca ci chiede scusa del disturbo e quasi tentenna ad iniziare i lavori di ripristino del suo piccolo veliero.
Noi impieghiamo qualche lungo minuto per riuscire ad aprire gli occhi. Abbiamo tirato l'una e mezza di notte a forza di chiacchierare con Giovanni e non abbiamo poi dormito tanto, almeno non così tanto come sembrano richiedere i ritmi di campeggio nautico qua attorno al Peloponneso.
Giovanni è già al lavoro: oggi è la giornata dedicata alla verniciatura dell'anti-vegetativa.
Baronessa Volante è qui a Pylos da tre anni. Giovanni l'ha costruita da solo in due anni, lavorandoci il sabato e la domenica e forse dopo il lavoro. Era già arrivato da Padova a Pylos scendendo l'Adriatico ed attraversando più volte lo Ionio con una piccola barca di sei metri con un'unica vela al terzo (spero di ricordare bene il nome: insomma una specie di vela latina trapezoidale in cui ogni lato è un terzo dell'altro, come ci ha prontamente spiegato Giovanni!). Poi però a casa senza barca non ci sapeva stare, lui che è un velista da oltre quarant'anni, e allora ne ha costruita un'altra, Baronessa Volante per l'appunto, un due alberi di dieci metri in compensato marino con un pozzetto particolare che permette a Giovanni di veleggiare in solitaria. Così è tornato a Pylos, ha lasciato qui Baronessa Volante, se n'è ritornato a casa con la sua prima barchetta a vela (cioè, tipo robe da Guinness dei Primati, mica poco!), e pensando di dover un giorno o l'altro affrontare il Mar Egeo ha deciso di apportare delle modifiche allo scafo di Baronessa Volante: un lavoro che a casa gli avrebbe richiesto un paio di settimane e che qui s'è trasformato in una sosta forzata di tre anni. In porto. Sugli invasi. Che forse tra due giorni non ci saranno più: dopo la mano di anti-vegetativa, la barca è finalmente pronta per riprendere il mare e Giovanni non sta quasi più nella pelle. E' tale e tanta la sua passione che ci attacca un po' della sua agitazione e non vediamo l'ora di sapere come è andato a finire il secondo varo di Baronessa Volante.
Il porticciolo turistico di Pylos è in realtà un porto fantasma: la ditta che l'ha costruito è fallita, non c'è nessuno che l'ha rilevato e che se ne occupa, le banchine sono usate liberamente dalle imbarcazioni di passaggio ma anche da alcuni piccoli pescherecci locali, ovunque crescono erbacce alte anche un paio di metri e in tutta questa autogestione disorganizzata stona il locale circolo velico che in tre container ospita decina di derive e laser su cui si allenano quotidianamente i ragazzini pestiferi di Pylos. In porto però c'è l'acqua dolce potabile, la luce elettrica e persino il servizio di rimessaggio e gru, per cui dopodomani dovrebbe essere il gran giorno: Baronessa Volante prenderà prima il volo sulle fasce issate dalla gru e poi il mare aperto sotto la guida attenta ed esperta di Giovanni. Che ha già grandi programmi: andarsi ad ormeggiare per il resto delle sue vacanze greche dall'altra parte della baia di Pylos, a tra miglia di distanza dal porto, e restare lì a non fare più niente!
Mentre ci racconta questi ed altri aneddoti della sua barca e della sua città d'adozione, vediamo sbarcare sul "nostro" stesso scivolo di alaggio un piccolo gruppo di quattro kayak colorati, due singoli rossi e due doppi gialli. Tornano dall'escursione guidata in kayak a Sfaktiria, l'isola che chiude la baia di Navarino, ed il ragazzo sorridente che scende per primo si presenta come uno dei due titolari di ExploreMessinia, un centro di attività all'aria aperta con base nella cittadina di Kalamata (che offre non solo attività di pagaiate in mare ed in fiume ma anche escursioni a piedi nella regione). Trifonas, questo il nome tipicamente greco del nostro nuovo amico, ci dice subito di aver notato i nostri kayak sin dal primo mattino e di aver pensato per tutto il tempo al modo per incontrarci e per conoscerci: niente di più facile, siamo rimasti tutto il tempo sul molo a parlare fitto fitto con Giovanni di viaggi in kayak e a vela. Quando Trifonas attacca a parlare in inglese di tutto quello che organizzano con la loro giovane società, l'interesse si sposta di nuovo sul kayak e su Messinia!
Insomma, la nostra giornata di navigazione si riduce ad una giornata di riposo, di chiacchiere e di incontri di mare!
Un paio d'ore appena ed arriviamo a Voidhokilia: era dall'inizio del viaggio che speravo di sbarcare qui, da quando ho visto su un libro dedicato alla Grecia vista dal cielo la foto aerea di questa bella baia circolare... E Mauro mi ci ha portato. Abbiamo impiegato quasi quattro mesi, ma alla fine ci siamo arrivati!

Verso Pylos...
L'isolotto a sud dell'isola di Sfaktiria che chiude la baia di Navarino...
Il castello di Pylos...
Cena a base di ghyros nella pizzetta centrale di Pylos...
Con Giovanni Corona all'ombra di Baronessa Volante!
Insieme a Trifonas di ExploreMessinia!

Martedì 29 agosto 2017 - 107° giorno di viaggio
Paralia Voidhokilia - Lagouvardos (20 km)
Vento W-NW 10 nodi (F3) - mare poco mosso - 27°C
Questa grande baia è un vero spettacolo della natura!
Specialmente quando se ne vanno tutti e noi restiamo soli.
Le stelle brillano insieme alla mezza luna, i grilli cantano tra le dune, la risacca del mare risuona regolare nella notte.
Siamo già lontanissimi dalla vita di città, anche se siamo ancora molto vicini in linea d'aria a Pylos, che ci ha dato l'impressione di essere una delle città più caotiche e frenetiche dell'intera Grecia, col traffico congestionato intorno alla piazzetta centrale e con gli automobilisti stressati già a fine agosto (alcuni han preso addirittura a suonare il clacson, attività sconveniente e quasi dimenticata, se non proprio vietata a queste latitudini!).
Insomma ci godiamo il ritorno alla natura.
La laguna retrostante è la zona umida più grande della Grecia e la più meridionale di tutta l'Europa: stamattina stazionano in mezzo allo stagno un paio di grandi comunità di fenicotteri rosa ed ovunque volano aironi e cormorani e cornacchie e aquile reali, che già ieri avevamo avvistato dal mare. La duna che divide la laguna dalla baia è alta abbastanza da offrire una visuale sull'intera regione, sia verso l'interno che verso il mare aperto. La baia è poi la vera attrazione della zona: le foto panoramiche non sono sufficienti a far comprendere la straordinaria atmosfera che si respira sulla spiaggia, una grande cala circolare racchiusa tra due alte scogliere rocciose, quella a sud sormontata da un altro castello veneziano tutto merlato. La sabbia è fine e dorata, con i sedimenti rosa che la rendono in tutto simile a quella super-protetta di Budelli nell'arcipelago sardo della Maddalena, ma qui tutti ci camminano sopra avanti e indietro in lunghe e lente transumanze umane che iniziano al mattino presto e terminano alla sera tardi, anche oltre l'ora del tramonto, quando tutta la baia è ormai in ombra o addirittura avvolta dall'oscurità.
Stanotte siamo rimasti da soli: gli unici a dormire in tenda sotto il ginepro coccolone più alto ed ombroso della duna.
Stamattina non siamo più soli: ad ondate successive arrivano bagnanti e turisti su ogni mezzo, una famigliola persino in bicicletta, anche se poi c'è quello col fuoristrada che si avventura tra le dune per parcheggiare a due passi dal mare (!)
Il sole è arrivato tardi a svegliare Mauro, verso le nove, ma io ero già in giro sin dalle sette del mattino: elettrizzata all'idea di essere qui!
Ho scattato millemila fotografie da tutte le possibili angolazioni, incurante del controluce o della scarsa visibilità... Ne fosse uscita una decente!
Devo comprarmi un nuovo obiettivo, di quelli che ti ci fanno entrare tutto il mondo, nelle foto!
Partire non è facile ma gli schiamazzi crescono a ritmi vertiginosi.
Prendiamo il mare all'ora di pranzo, lasciando alle nostre spalle due strisciate profonde sulla sabbia di Voidhokilia.
La costa a nord è bassa e rocciosa, anonima e punteggiata di casette di villeggiatura.
Non ci sarebbe molto altro da dire sul resto della giornata, se non che sia alla pausa pranzo (con insalata greca e patate al forno servite direttamente sulla spiaggia!) e sia allo sbarco serale capitiamo in due calette che sembrano la copia in miniatura della grande ed originale Voidhokilia. Che però rimane ineguagliabile: la prima, chiamata Vromoneri, è più piccola ed incassata tra scogliere più basse, senza il castello storico ma con delle ville moderne, la seconda è più aperta e bassa, senza rocce a proteggerla ai lati e con due stabilimenti balneari. Ma la musica è portata via dal vento (sempre contrario per l'intera giornata!) e noi ci sistemiamo sotto un terzetto di ginepri per ripararci dall'umidità incipiente.
Appena cala il sole, con un'ora di anticipo perchè scompare dietro nuvole spesse, noi montiamo la nostra casetta e anche per questa notte ci godiamo la vita all'aria aperta...

Pagaiando verso l'uscita nord della Baia di Navarino...
La fortezza veneziana della Baia di Voidhokilia!
La Baia di Voidhokilia: la spiaggia dei miei sogni...
In navigazione verso nord, sempre controvento...
I ginepri protettori del campo a Lagouvardos...
Temporale estivo e trombe d'aria all'orizzonte...

Mercoledì 30 agosto 2017 - 108° giorno di viaggio
Lagouvardos - Lagouvardos (0 km)
Vento S variabile - mare calmo - 22°C
Non pensavamo proprio che la penisola di Messinia fosse tanto bella, forse perchè dopo aver esplorato quelle più famose e turistiche di Monemvassia e del Mani credevamo che il Peloponneso non avesse più molto altro da offrirci.
Invece ci riserva spiagge idilliache, panorami mozzafiato e temporali indimenticabili!
La notte è stata umida ma senza altre particolari note di colore. La mattina, invece, inizia sotto un temporale estivo in piena regola.
Faccio giusto in tempo a svegliarmi, uscire dalla tenda, recuperare dal gavone di Mauro il telo esterno, montarlo e rientrare: alle nove è il finimondo.
Il cielo nel frattempo s'è completamente oscurato: l'isola di fronte, Proti, che fino a pochi minuti prima interrompeva la linea di separazione tra mare e cielo col suo profilo irregolare e verdognolo, scompare dietro un fronte nuvoloso che prima procede da sud, spinto da venti forti e costanti, e poi muove invece in direzione opposta, da nord, respinto da altri venti contrari ma altrettanto violenti. Dalle montagne crescono nuvoloni paffuti, sempre più alti e corposi, ed il rombo lontano dei tuoni si avvicina ogni minuto di più, tanto che i lampi più forti si scatenano proprio sulla nostra tenda.
Non è tanto la pioggia a preoccuparmi, che pure ha bagnato tutta la spiaggia lasciando piccole fossette sulla sabbia prima dorata e soffice ed ora scura e compatta. Non sarebbe neanche la grandine a inquietarmi, che arriva all'improvviso e cade in mare come fosse fatta non già di acqua ma di pietre, tanti piccoli macigni che precipitano in mare e che sollevano corone d'acqua sempre più grosse e sempre più frequenti, come se ci fosse qualcuno che ha preso a lanciare dardi che perforano l'acqua con estrema violenza. I temporali estivi sono sempre stati la mia passione e mi ricordo come fosse ieri quando correvo fuori casa per bagnarmi dell'acqua calda che cadeva giù dal cielo (e che in altri periodi dell'anno restavo a guardare da dietro i vetri delle finestre ben chiuse!): in estate è tutto caldo, l'aria, l'acqua, la terra. Non mi impensierisce il temporale, non mi spaventano i tuoni, non mi fanno saltare di paura i lampi che pure esplodono sulle nostre teste. Quello che però non avevo previsto e non mi piace affatto ritrovarmi nel campo visivo, quando mi affaccio per l'ennesima volta dall'abside della tenda, è la doppia tromba d'aria che si forma in mezzo al mare, proprio davanti ai nostri due piccoli panfili. Un perfetto cono rovesciato che solleva alti spruzzi alla base e che si ingrandisce sempre più alla sommità, tanto che quando si forma la seconda tromba d'aria verso nord, la prima sembra già un tornado di proporzioni gigantesche. Un incontro ravvicinato con una doppia tromba d'aria a pochi giorni dalla fine del viaggio me lo risparmierei proprio volentieri. E le due trombe si muovono di pari passo, in parallelo, facendo il vuoto all'intorno.
E dentro il mio pancino. Vuoto pure quello. Siamo rimasti digiuni.
Mauro si sveglia quando è ormai suonato da un pezzo mezzogiorno, del tutto incurante del temporale che ha schiacciato la tenda e del timore con cui io ho seguito l'evoluzione meteorologica. Non s'è svegliato neanche alle mie urla di giubilo prima e di inquietudine poi...
Dopo più di tre ore di pioggia, grandine e vento, in cielo si apre un timido spiraglio di sole e noi ci avventuriamo fuori dalla tenda.
Proviamo ad andare a fare colazione in uno dei bar sulla spiaggia ma tutti e due gli stabilimenti balneari hanno subìto danni dal maltempo appena trascorso: ombrelloni divelti, materassi inzuppati d'acqua, cabine rovesciate e soprattutto mancanza di corrente. Sfuma la possibilità di avere un caffè frappè e anche la speranza di poter tornare per un pranzo/cena a metà/fine pomeriggio. Dobbiamo arrangiarci con le scorte di kayak: rientriamo nella nostra casetta verde, al riparo dei tre ginepri coccoloni, e svuotiamo l'intera cambusa, mangiando fino a sera.
Approfittiamo della sosta forzata per aggiornare il blog, dando fondo alle ultime scorte di batterie e ricariche solari.
Riprende a piovere e benediciamo la scelta di restare: se avessimo ripreso a pagaiare, ci sarebbe toccato uno sbarco sotto un secondo temporale estivo!

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Messaggio:Isole Ioniche e Peloponneso Kayak Tour 2017. Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

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sabato 26 agosto 2017

L'ultima penisola di Messinia...

Mercoledì 23 agosto 2017 - 101° giorno di viaggio
Stupa - Kitries (21 km)
Vento W 12-15 nodi (F4) - mare da calmo a mosso - 30°C
I pini del belvedere ci proteggono dal vento che si alza nel cuore della notte e dal sole che compare di primo mattino.
Torniamo in paese per fare una seconda scorta di tabacco e di frutta fresca e ci apprestiamo a partire con la solita calma.
A mezzogiorno il mare è ancora calmo ed il vento non sembra voler crescere: c'è solo qualche increspatura sull'acqua qua e là.
Costeggiamo il paesino di Kardamili, punteggiato di case dai tetti rossi e da una ciminiera di mattoni rossi che svetta sulla lunga spiaggia bianca.
Subito a nord le vallate aperte e morbide cedono il passo ad un ultimo promontorio alto ed impervio, privo di strade e di abitazioni.
Proprio sul capo il vento cresce all'improvviso e crea subito una "lavatrice" niente male.
Per tutto il tempo riusciamo a scattare fotografie, non siamo mai al limite della nostra zona di comfort, solo che oggi succede qualcosa di particolare che quando siamo da soli in mare non smette ancora di stupirci. Dapprima le onde si rincorrono verso la costa con una trama regolare e sempre più grossa man mano che il vento rinforza, poi le onde che sbattono contro la scogliera e cercano di tornare in mare aperto si scontrano con quelle in arrivo e lo spettacolo creato da tutte quelle energie liquide mosse in senso contrario ci lascia a bocca aperta: più che in una classica "lavatrice", ci ritroviamo a navigare tra pinnacoli argentati neanche fossimo entrati in un negozio di cristalli. Ci è capitato spesso di pagaiare nel bel mezzo di un turbinio d'acqua e spruzzi e punte trasparenti che sorgono da ogni dove, come dal nulla: oggi però c'è qualcosa di strano nell'aria, le onde sono più irregolari e "creative" del solito, i nostri due kayak dondolano in continuazione tra quelle collinette che vanno e che vengono, più di una volta dobbiamo rinunciare a scattare la foto da copertina per fare un appoggio da manuale.
Il promontorio prosegue tra una serie di piccoli capi rocciosi per una decina di chilometri: per oltre un paio d'ore non ci sono che due sole possibilità di sbarco e noi proseguiamo alla ricerca del primo.
I clapotis continuano a decorare il mare tutto intorno ai nostri due Voyager. Siamo circondati da candelabri e più le onde si rincorrono e si gonfiano e più queste guglie d'acqua cercano di crescere verso il cielo. Che intanto si è oscurato.
Nuvoloni grigi arrivano da dietro i monti a coprire il mare. Non promettono nulla di buono.
Non appena iniziano a cadere le prime gocce d'acqua, annunciando un classico temporale estivo, ecco che tutto cambia: il mare si spiana, le onde si attenuano, i clapotis scompaiono, tutto diventa di un immoto grigio-azzurro che ci lascia di stucco. Quando il mare è capace di cambiare vestito così all'improvviso è sempre bello starlo a guardare da una posizione così privilegiata da poter spaziare con lo sguardo a 360 gradi.
Dopo una prima breve sosta tecnica per sgranocchiare una barretta e ridurre drasticamente la razione di frutta fresca, l'acquazzone che intanto imperversa sulle nostre teste con una costanza impareggiabile ci costringe ad una breve seconda sosta tecnica: stavolta per indossare le giacche d'acqua! Ma non dobbiamo tenerle su molto a lungo: appena oltre il capo che chiude a nord il vasto promontorio, appena oltre un bel faro in pietra gialla che è stato ormai abbandonato e che lì da solo, senza più luce e senza più finestre, mette un po' di malinconia, avvistiamo un paesino di villeggiatura.
Sistemiamo i kayak dopo l'ultima tamerice che decora la spiaggia attrezzata di una taverna: ceniamo lì, non ci pensiamo due volte!
Il tramonto avvolge noi ed i kayak in una luce rosata che dura il momento del passaggio del sole tra due nuvoloni ancora paffuti appena sopra l'orizzonte. Per la prima volta da non ricordiamo più quanto tempo, montiamo il telo esterno della tenda, nel caso voglia minacciare pioggia anche durante la notte...

Rock-balancing nel Golfo di Kalamata...
Il grande promontorio a sud di Kalamata...
Temporale estivo...
Tramonto a Kitries...

Giovedì 24 agosto 2017 - 102° giorno di viaggio
Kitries - Krani (24 km)
Vento W 10-12 nodi (F4) - mare poco mosso - 30°C
Invece la notte è funestata non già dalla pioggia ma da una serie cospicua di fattori differenti: i due pescatori che rientrano appena fa buio e gettano l'ancora proprio davanti alla nostra casa per una notte; la musica sparata a tutto volume di una festa in discoteca che si svolge probabilmente sull'altra sponda del golfo ma che il vento ci porta dritta in tenda nel cuore della notte; gli uccelli notturni che da queste parti sono molto attivi e ciarlieri e che prediligono tutti o quasi la tamerici sopra le nostre teste.
Insomma, ci svegliamo presto dopo aver dormito poco.
Scegliamo di tagliare al largo l'ampio golfo di Kalamata.
La cittadina è famosa per le olive (se non le conoscete ancora, cercatele e assaggiatele: sono buone da leccarsi i baffi!) ed il folto nucleo abitato è circondato su ogni lato, tanto nella pianura interna che nelle colline circostanti, da una serie pressocchè infinita di uliveti. Ci sono piante di ulivo su ogni declivio, le foglie grigio-verdi si agitano leggere lungo la costa ed ovunque si volga lo sguardo si vedono altri ulivi, solo ulivi: ulivi dappertutto.
Davanti al porto di Kalamata stazionano da ieri tre grandi navi di colori differenti che girano le prue al vento ogni volta che il vento gira.
Non abbiamo molta voglia di costeggiare la città, nè tanto meno di fare la gimcana tra le navi all'ancora.
Preferiamo una navigazione d'altura, oggi, a circa 3-4 chilometri dalla costa: diciamo che scegliamo di costeggiare in maniera creativa.
Ci tocca però pagaiare contro vento: tutto il giorno, inesorabilmente.
Prima procediamo col vento al mascone, nel primo tratto in cui risaliamo un poco verso nord per assecondare la naturale curva a mezza luna del grande golfo di Kalamata. Poi giriamo un poco le prue e ci ritroviamo il vento di prua! E così resta per l'intera pseudo-traversata. Non che sia difficile risalire questo vento costante ma ancora moderato, solo che diventa presto un po' snervante vedere che il gps non segna mai (mai!) più di 4 chilometri orari. Che comunque è una velocità di crociera di tutto rispetto e che ci permette di arrivare a destinazione ad un orario ragionevole, quando sono da poco suonate le sei del pomeriggio.
Con questa scelta strategica, che ci permette di evitare la costa bassa e lineare della piana che separa (o unisce?!) le due penisole del Mani e di Messinia, riusciamo a "risparmiare" un giorno di navigazione: solo che allo sbarco mi sento addosso la stanchezza di due giorni interi! Sarà l'età che avanza, sarà la notte disturbata, sarà che abbiamo oltre tre mesi di navigazione sulle spalle, ma un vento contrario così ostinato ed antipatico non me lo ricordavo dai tempi di Creta!
In mare incontriamo solo un grande catamarano battente bandiera tedesca: il timoniere si avvicina quel tanto per chiederci a gran voce se va tutto bene e al nostro "Yes!" sincronizzato si allontana lento come noi lenti ci allontaniamo da lui. A terra incontriamo solo un signore che, come e meglio di noi, fa scorta di fichi d'india dalle piante che rigogliose crescono sulla spiaggia di ciottoli: noi abbiamo solo una busta di carta per proteggerci dalle spine, lui ha invece ideato un interessante attrezzo con tanto di prolunga che lo tiene a distanza di sicurezza da quei famigerati frutti selvatici. Tredici, ne cogliamo solo tredici: poi passo le successive due ore a togliermi le spine dalle mani e dalle braccia!
Mauro trova anche stasera un luogo ameno e bucolico in cui montare la tenda: tra gli ulivi! E non poteva essere diversamente!
La lunga spiaggia di ciottoli policromi è abbastanza distante dalla strada litoranea da non portarci alcun rumore di civiltà e benchè sotto vento qui non arriva l'eco nè della città nè delle auto in corsa nè tanto meno delle discoteche. C'è solo un fastidioso drone che volteggia sulle nostre teste mentre consumiamo in spiaggia, accanto ai kayak, un pasto frugale a base di grissini e... olive di Kalamata!
Aspettiamo che tramonti il sole alle nostre spalle per infilarci nei sacchi a pelo: ci addormentiamo in men che non si dica!

Risveglio a Kitries...
Incontri in mare...
Campo sotto gli ulivi di Krani,,,
L'ingresso a Koroni...
In uscita da Koroni...

Venerdì 24 agosto 2017 - 103° giorno di viaggio
Krani - Faneromeni (23 km)
Vento variabile W-SW-NW 10-12 nodi (F3-4) - mare poco mosso - 29°C
Colazione all'ombra del nostro ulivo con una parte dei nostri fichi d'india.
Per evitare di ricoprirmi ancora di spine, seguo lo stratagemma del Mammut: li immergo nell'acqua di mare e li lascio in ammollo qualche minuto in una busta di plastica. Poi li sistemo in bell'ordine su uno dei ciottoli piatti delle riva, certamente levigati durante l'inverno dal torrente stagionale che sfocia proprio lì accanto. Infine li pelo con forchetta e coltello: sono maturi al punto giusto, si lasciano sbucciare come una banana. Che soddisfazione: i fichi d'india selvatici sono una vera leccornia!
Il sole ha infuocato la tenda alle otto e mezza del mattino, lasciandoci dormire sonni più lunghi e profondi della notte precedente.
L'acqua davanti ai nostri due kayak è di un verde brillante e ci invita a prendere il mare (sempre a mezzogiorno suonato).
La costa corre ancora bassa e lineare, solo di tanto in tanto interrotta da morbide colline che rendono il panorama fresco e verdeggiante.
Oltre le prime file di tamerici e canneti giallognoli che incoronano alcune spiagge attrezzate, si intravedono degli sparuti paesucoli con le casette basse dai tetti rossi, tutti immersi in distese infinite di uliveti. Ci sono ulivi dappertutto, arrivano fin sul mare.
Incontriamo alcune interessanti scogliere di arenaria dorata prima di avvistare il bel paese di Koroni: una folta schiera di casette dai tetti rossi circondano una chiesa ortodossa e tutte insieme sono raccolte vicino ad una cinta muraria di notevoli dimensioni, un paio di torri massicce che chiudono la fortezza sul lato del mare, e dei lavori di restauro recenti che cercano di preservare quel che resta dell'antica fortificazione in pietra di origine veneziana.
Resistiamo al richiamo delle taverne e come moderni Ulisse ci tappiamo non solo le orecchie ma anche gli occhi, il naso e la bocca e a testa bassa procediamo oltre il porticciolo del paese, fieri di avere superato quella dozzina di taverne senza cedere alla tentazione di sedere ad uno dei loro tavolini così ben apparecchiati lungo il molo. Sgranocchiamo una barretta, come ormai è nostra abitudine da tre mesi e più: fortuna che le barrette greche sono molto gustose, fatte di sesamo e miele come i tradizionali "pasteli" delle feste popolari. Ripartiamo facendo finta di essere sazi.
Superiamo il promontorio roccioso del paese e subito dopo ne incontriamo un altro, sempre di pietra arenaria ma senza fortificazioni.
Dobbiamo pagaiare anche oggi controvento: del resto, dopo aver doppiato in favore di vento le due penisole precedenti di Monemvassia e del Mani, senza quasi credere a quel che stava avvenendo, di avere cioè il vento in poppa sia a scendere verso sud che a risalire verso nord, e per tutte e due le penisole (vale a dire per oltre due settimane di navigazione!), adesso non possiamo proprio sperare di continuare a gabbare la "Legge di Murphy del mare", quella secondo cui il vento soffia sempre in direzione ostinata e contraria alla rotta prescelta. Ci pare di capire, dal benvenuto che già ieri ci ha riservato il vento, che l'ultima penisola di Messinia dovremo farla tutta controvento!
Ci sono delle spiagge attrezzate ricoperte di ombrelloni di paglia ed avvolte da troppe urla di bambini: impensabile sbarcare qui.
C'è anche una grande villa in stile hollywoodiano con tanto di osservatorio astronomico immerso in un parco di pini marittimi: chissà se è un centro di ricerca oppure il passatempo di un semplice appassionato, del resto qui nel Peloponneso l'inquinamento luminoso è così ridotto che le stelle si vedono molto meglio che in tanti altri posti del Mediterraneo e la Via Latta spunta presto al calar del sole come se non aspettasse altro per mettersi in mostra.
Proseguiamo quasi fin sulla (prima) punta meridionale della penisola di Messinia, che sembra come dividersi in due capi, uno più rientrato rispetto all'altro, entrambi protetti da un isolotto che li guarda da vicino. Scartiamo una prima spiaggia perchè è troppo stretta e corta e benchè dotata di una grotta abbastanza ampia da offrire ombra per tutto il giorno, anche al mattino presto, è pure munita di un grande cartello di divieto di campeggio. Se ne incontrano di rado qui in Grecia, di questi strani cartelli, meglio non provare a sfidarli.
Troviamo la nostra casa per una notte su una bellissima spiaggia di sabbia dorata e fine costellata di grossi massi precipitati dal monte: anche questa è attrezzata con uno spogliatoio ed un parcheggio ed un cartello multilingue che invita a rispettare l'ambiente circostante e a non montare tende e a non sostare con camper e a non fare campeggio di nessun tipo. C'è però già una tendina azzurra che occhieggia tra la macchia e proprio davanti al cartello si sono sistemati tre caravan come davanti ad un belvedere: manchiamo solo noi per completare l'opera.
Montiamo la nostra tendina su uno scalino di ciottoli piatti e levigati che basta spostarli e risistemarli un poco per realizzare un piano perfettamente adeguato alle esigenze dell'Uomo di Ferro. Poco sopra c'è un angolino riparato dal vento dove sempre l'Uomo di Ferro, confortato da una birra fresca offerta dall'austriaco di uno dei camper, che si è spostato fino ai nostri kayak per chiedere e curiosare, si diletta nella cottura di un piatto stravagante: stasera niente grissini o pasti frugali, ma dei noodles con un minestrone addizionato di una confezione di funghi porcini! Una cena come si deve!

La punta meridionale della penisola di Messinia...
Il campo sulla spiaggia più bella del Peloponneso...
Verso l'ultimo capo della penisola di Messinia...
Risalendo verso nord...
Una spiaggia comune di un sabato comune di un comune fine agosto in Grecia... 

Sabato 26 agosto 2017 - 104° giorno di viaggio
Faneromeni - Kamaria (20 km)
Vento NW 8-10 nodi (F3) - mare da calmo a poco mosso - 29°C  
Ci svegliamo in una delle cale più belle del Peloponneso.
La vista dal terrazzino panoramico della nostra tendina è straordinaria, su un mare turchese appena increspato dalle prime folate di vento.
Il sole è sorto presto e ci ha svegliato prima del solito: anche l'imbarco è anticipato di un'ora e quasi non riusciamo a credere di essere così veloci.
La costa delle ultime propaggini della penisola di Messinia prosegue bassa e lineare ma con molti capi interessanti: uno assomiglia alla cresta di un drago, un altro ad una tartaruga gigante e ovunque si guardi spuntano scogli isolati ed isole sparse. Le due più grandi, che chiudono idealmente la punta meridionale della penisola come ad avvolgerla in un grande lago interno, sembrano messe lì apposta per proteggerci dal vento contrario del primo mattino. Mi piacerebbe avventurarmi nel periplo di Arnati, Aghia Mariani e Sapienza, soprattutto per via del nome attribuito per chissà quali oscuri motivi a quest'ultima, ma sono tutte e tre, le due grandi laterali e la piccolina centrale, coperte da una macchia diradata, con poche spiagge e pochissimi sbarchi e soprattutto con un profilo basso e morbido che non sembra offrire scoperte interessanti a chi arriva dal mare.
Proseguiamo quindi verso nord, lungo una serie di colline ricoperte di ulivi e di scogliere ricoperte di pini marittimi e di spiagge ricoperte di bagnanti: oggi è sabato e sono tutti in mare sui soliti "motocafonauti". Sbarchiamo per una pausa pranzo & shampoo in una bella caletta troppo frequentata immersa nella macchia mediterranea e ripartiamo quando l'ennesimo drone prende a ronzare sulle nostre teste lavate di fresco.
Il vento cresce e prende una direzione esattamente contraria alla nostra: gli ultimi dieci chilometri contro vento sono come sempre lenti e snervanti, ma almeno ci permettono di evitare altre tre spiagge attrezzate ai piedi del paesino di Finikounda e di dirigere su una delle poche baie deserte del posto. C'è una fila di tamerici molto invitanti e noi non ci facciamo pregare.
L'ombra ha già invaso tutta la spiaggia e sistemare il campo senza sudare sette camicie è sempre piacevole.
Abbiamo tutto il tempo di aggiornare il diario di viaggio e di pubblicare un nuovo post sul blog: accoccolati sui massi levigati vicino alla riva ci godiamo il tramonto (alle nostre spalle) ed il mare che si tinge di rosa (davanti a noi) insieme alle coppie di tedeschi che, ad ondate successive, scendono dalle ville vicine per fare un lungo bagno rinfrescante prima di cena.
Noi invece ci scordiamo di cucinare e... andiamo a letto senza mangiare!

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Messaggio:Isole Ioniche e Peloponneso Kayak Tour 2017. Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

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martedì 22 agosto 2017

Il bello dei programmi di viaggio è che si possono sempre cambiare...

Sabato 19 agosto 2017 - 97° giorno di viaggio
Gherolimenas - Mezapos (18 km)
Vento N-NW 5-8 nodi (F2-3) - mare calmo - 33°C
Gherolimenas è un piccolo ed accogliente borgo marinaro.
Le casette sul mare sono tutte in pietra, anche se soltanto una, l'unica diroccata, è un'originaria casa-torre del Mani.
Alle spalle del paese, sul versante settentrionale della piccola baia, si erge il massiccio di Capo Grosso ed una scalinata intagliata nella roccia e dipinta di bianco sale lungo la parete rocciosa che a tratti svetta sul mare con un'inclinazione perfettamente verticale. La notte è tutto illuminato, i ristorantini sulla passeggiata ed i gradini sulla montagna.
Al mattino il sole arriva prima del solito perchè la spiaggia di ciottoli bianchi è aperta sul mare e non ci sono alberi che possano ritardare il nostro risveglio. Che comunque, come da migliore tradizione, è sempre molto lento. Oggi anche perchè vogliamo attendere che il vento, secondo le previsioni molto più forte di quanto noi non riusciamo ad intuire da questo angolino chiuso e ridossato, si attenui quanto basta per farci prendere il mare con tranquillità.
Capo Grosso è un'altro dei punti critici del Peloponneso.
E' un massiccio roccioso di notevoli dimensioni, un promontorio alto e disabitato che non offre possibilità di sbarco per oltre 16 chilometri, con un inconfondibile profilo che Mauro definisce da pecora addormentata, anche se ieri da lontano ci era sembrato più una marmotta.
La brezza leggera increspa di poco il mare blu che circonda il capo, ma sulle punte più esposte le raffiche diventano subito forti ed imprevedibili. Anche oggi dobbiamo fare i conti con i venti catabatici, benchè la giornata si preannunci calma e senza vento. Capo Grosso ci impone sin dalle prime pagaiate di procedere uno dietro l'altro, allineati secondo la tecnica di caccia Inuit, il popolo groenlandese che ha "inventato" il kayak da mare oltre 4000 anni fa: procediamo per un buon tratto con la prua del secondo kayak che sfiora la poppa del primo, neanche dovessimo affrontare il Piterak artico, il più famoso al mondo tra i venti catabatici.
Sotto le pareti rocciose di Capo Grosso capiamo la maestosa possanza di questo promontorio che sembra non finire mai. Chiamato nel passato "Lo specchio" per il gran numero di grotte e cavità naturali, Capo Grosso è sempre stato temuto dai marinai e dai pescatori nel corso dei secoli ed ancora oggi incute un rispetto reverenziale ai naviganti che affrontano le sue scogliere strapiombanti. Manolis, il nostro amico greco che ha completato il periplo del Peloponneso in inverno lo scorso mese di gennaio, ci ha raccontato più volte del senso di assoluta fragilità ed impotenza che lo ha investito quando si è ritrovato da solo a pagaiare lungo le monumentali pareti del capo. Il portolano definisce Capo Grosso un "enorme masso roccioso dal profilo inconfondibile le cui pareti precipitano in mare da un'altezza di oltre 250 metri, spezzate da gole e costellate da grotte", molte delle quali hanno l'ingresso murato e si sono per questo conquistate la fama di custodire le ricchezze dei pirati. Bisognerebbe essere provetti scalatori per arrivare a visitarle e quella che si apre sul capo è talmente grande e visibile, sia da terra che dal mare, che nel tempo ha conteso alla grotta di Capo Tenaro la nomea di essere l'ingresso dell'Ade. In alcuni tratti ci sono talmente tanti fichi d'india abbarbicati alla roccia che ci viene spontaneo domandarci come abbiamo mai fatto ad attecchire in quella posizione verticale, tra sbalzi levigati dal vento e del tutto inaccessibili all'uomo e agli animali. Vediamo solo qualche coppia di rapaci in volo, ed un topolino di campagna che galleggia privo di vita sul pelo dell'acqua, sfuggito forse ai loro artigli...
Ci devono essere delle correnti particolari intorno a Capo Grosso: per il primo tratto, quello meridionale, procediamo a 4.3 chilometri orari, ed in alcuni punti arranchiamo anche a 3.2; poi però, passata la punta più esterna, prendiamo una velocità inaspettata di 7 chilometri orari.
La costa corre sempre molto alta e noi proseguiamo con una buona andatura per tre ore tonde tonde, fino a quella che all'inizio pensavamo fosse solo una tappa intermedia. E che presto si trasforma invece nella conclusione della nostra giornata di navigazione.
Appena sbarchiamo sull'ennesima spiaggia di ciottoli bianchi del Mani, ai piedi del piccolo villaggio di Mezapos, una manciata di casette cresciute in maniera disordinata attorno al ridossato porticciolo centrale, veniamo avvicinati da una bella ragazza dai capelli lunghi e dagli occhi verdi che ci chiede se non abbiamo bisogno di qualcosa dalla barca a vela. Lavinia e Peter hanno saputo del nostro viaggio in kayak dai signori veneti incontrati a Porto Kaghio, quelli che ci hanno promesso di sostenerci col pensiero. Quando ci hanno visto arrivare non ci hanno pensato due volte: sono scesi dalla barca, lei a nuoto e lui col tender, e si sono messi a farci un'infinità di domande. E siccome le nostre risposte non sono mai sintetiche, perchè parlare di kayak è, dopo l'andare in kayak, una delle nostre attività predilette, abbiamo bruciato il momento giusto per riprendere il mare e per raggiungere la meta successiva. Poco male: il bello dei programmi di viaggio è che si possono sempre cambiare!
Questo lungo tratto di costa occidentale del Mani è caratterizzato, oltre che dalla notoria natura selvaggia e dalla sequenza di paesi-fortezza, anche da una scarsa presenza di spiagge (l'unica di sabbia è quella di Marmari, sul versante nord-ovest di Capo Tenaro) e soprattutto da una limitata possibilità di sbarchi per chi come noi viaggia in kayak. La possibile tappa successiva dista altri 17 chilometri: non c'è niente prima. Niente tra Mezapos e gli approdi della baia di Dhyros. Siccome sono passate le sei del pomeriggio, decidiamo di non ripartire e di continuare a chiacchierare.
Ci spostiamo però dalla spiaggia assolata all'unica taverna del posto, un piccolo locale ricavato nella terrazza panoramica di una delle casette del paese, proprio sopra l'unica chiesetta ortodossa affacciata su quell'unico porticciolo, dove stasera festeggiano il compleanno di un bimbo con palloncini colorati lanciati in acqua tra i gozzi all'ancora e festoni tipo gran-pavese tirati tra i pali della luce.
Salutiamo e ringraziamo le due famiglie bresciane che, non appena sbarchiamo nella caletta affianco, più aperta ed adatta a montare il campo, ci offrono due bottiglie d'acqua fresca e che con domande mirate e molto attinenti sembrano voler introdurre i quattro pargoli curiosi e silenziosi alle meraviglie del campeggio nautico in kayak da mare. Ritroviamo presto Lavinia e Peter e dopo aver ammirato un tramonto di fuoco appena oltre il capo che si allunga in mare e che protegge l'intera baia di Mezapos ci prepariamo alla cena. Il paese ha la nomea di essere stato un villaggio di pirati e l'aspetto che ancora oggi conserva a metà strada tra il trasandato ed il defilato lo lascia credere molto facilmente. Il portolano dice anche che Tim Severin, durante il suo viaggio sulle rotte di Ulisse, lo avrebbe identificato, in concorrenza con il paese di Bonifacio in Corsica, col porto dei Lestrigoni, i famosi giganti cannibali che gettarono dall'alto dei massi per affondare le navi, tutte tranne quella di Ulisse.
Affascinati da cotante storie passate, noi ci perdiamo subito a parlare di storie presenti, delle avventure di Peter nei cinque continenti, dell'attaccamento di Lavinia alla sua amata Lecce, delle nostre pagaiate nel Mediterraneo, di kayak, di vela, di viaggi... e forse troviamo, grazie ad un ingegnoso suggerimento di Peter, il modo di navigare in sicurezza ed in tranquillità tra le Isole greche del Dodecanneso e la costa turca durante la prossima estate!

Le primi propaggini di Capo Grosso
Peter sulla barca a vela con cui viaggia insieme a Lavinia...
Lo sbarco sulla seconda caletta di Mezapos...
Il campo sotto il paese di Mezapos...
Le coste piene di grotte e cavità...
L'ingresso alla Grotta di Vlikada nella Baia di Dhyros...

Domenica 20 agosto 2017 - 98° giorno di viaggio
Mezapos - Karavostasi (24 km)
Vento W-SW 5-6 nodi (F2) - mare calmo - 32°C
Quando ci svegliamo la vela di Peter e Lavinia non è più in rada.
Speriamo di ritrovarli più avanti, o chissà quando: è stato un incontro insperato e piacevole che ha riempito e allietato un'intera giornata.
L'insalata greca e lo tzatziki di ieri sera, però, accompagnati da una doppia razione di tsipouro, ci hanno lasciato addosso una gran fame: prima di partire, stamattina ci regaliamo una doppia colazione in spiaggia, prima con la frutta fresca dell'ultima spesa in paese, pesche noci e fichi di stagione, e poi col solito pane inzuppato nel caffè-latte arricchito di frutta secca e miele greco. Ci stiamo ancora leccando i baffi quando la prima brezza del mattino ci ricorda che forse oggi dovremo pagaiare contro vento. Ma è soltanto un avviso, poi tutto si smorza e noi navighiamo per il terzo giorno consecutivo in un mare così piatto che quasi ci annoia.
Superiamo tre promontori alti e grossi, che diventano sempre più bassi man mano che risaliamo verso nord, tutti ugualmente disabitati e brulli.
La vegetazione è ancora scarsa, solo qualche rada pianta di fichi d'india, di capperi e di finocchio marino che si affaccia dalle pareti rocciose a strapiombo sul mare. Il resto è ricoperto di arbusti rossastri bruciati dal sole e dal vento.
Oggi facciamo una lunga sosta nella baia di Dhyros: vogliamo visitare la famosa grotta di Vlikada.
E' una vera meraviglia della natura, piena di così tante stalattiti e stalagmiti da lasciare a bocca aperta.
Solo che si tratta di una grotta marina, che procede per la quasi totalità della sua lunghissima estensione (oltre 14.000 metri!) sotto il livello del mare. Quindi si può visitare solo a bordo di un barchino di legno ad otto posti governato da un barcaiolo che siede a poppa e che fa avanzare la barca usando una sorta di remo. Normale, direte voi: tutte le barche procedono a remi. Esatto. Solo che siccome le gallerie della grotta sono piccole e basse e strette, larghe poco più della barchetta carica di visitatori, il timoniere usa il remo... sulle pareti della grotta! Ed in alcuni casi, quando la volta si innalza al punto da non offrirgli altri appigli, anche lasciando il remo in barca, mettendosi in piedi ed attaccandosi direttamente alle stalattiti! Che sono diventate tutte nere, ovviamente. In alcuni punti sono anche state tagliate di netto, per permettere alle barche di continuare la loro corsa nelle cavità della terra. Una corsa che a volte m'è sembrata troppo veloce, un po' precipitosa: io avrei voluto fermarmi qualche momento in più per osservare quelle straordinarie formazioni calcaree, per guardare le gocce scendere lungo le colonnine illuminate, per ammirare gli angoli più nascosti e le innumerevoli deviazioni possibili... anche quando le virate diventano un po' troppo brusche ed in un paio di occasioni arriviamo persino a sfregare sia con lo scafo che coi giubbottini sui passaggi sempre più angusti della grotta... la barca procede ondeggiando ad ogni spinta del timoniere e noi abbiamo la sensazione di poterci ribaltare da un momento all'altro!
Ad un certo punto, ad un'inclinazione più accentuata delle altre, Mauro sbotta: "Odio le barche a fondo piatto"!
Il barcaiolo prosegue la sua gimcana veloce lungo il percorso turistico, annunciando e subito lasciando il lago delle fate, il grande oceano, l'antro del dragone, la camera rossa, gli appartamenti bianchi e rosa, la cattedrale... in 25 minuti arriviamo alla banchina di sbarco, scendiamo, consegniamo i giubbottini al barcaiolo, che se ne va per la sua strada d'acqua, e dopo i primi 1.200 metri lacustri visitiamo gli ultimi 300 metri pedonali: adesso che siamo rimasti finalmente da soli, posso soffermarmi quanto voglio a curiosare tra stalattiti e stalagmiti, a leggere le (poche) informazioni del dépliant turistico e a chiedermi dove siano ora conservati i fossili di ossa di pantera, iena, leone, cervo e martora ritrovati nella grotta, che oltre agli altri suoi primati vanta anche quello del più grande giacimento di ossa di ippopotami in Europa (giuro: ippopotami!).
Mauro avrebbe gradito una visita più breve, quindi mi affretto a raggiungerlo all'uscita. Fuori si muore dal caldo, dentro si moriva dal freddo: la temperatura dell'acqua in grotta è di appena 14°C, mentre quella dell'aria si aggira sui piacevoli 16-19°C. La visita dura un'oretta, di cui 25 minuti in barchetta, ma noi ci abbiamo messo poco più di tre ore: un'ora preliminare per rifocillarci a dovere prima di affrontare la scalata alla collina sulla cima della quale hanno posizionato l'unica biglietteria (senza tenere in minima considerazione i visitatori che arrivano dal mare: ma forse noi siamo stati gli unici!), un'ora regolamentare in grotta ed un'altra ora per riprenderci dall'esperienza del barchino dal fondo piatto!
Ci servono un gelato e un caffè frappè per poter proseguire in mare.
Lasciamo l'ampia baia di Dhyros sapendo bene che le tappe successive sono forzate.
Anche oggi non ci sono molti punti di possibile sbarco, quindi decidiamo di entrare nel golfo successivo e di cercare il nostro campo per una notte. Sbarchiamo dopo molti tentennamenti: qui c'è la strada asfaltata e chissà che rumore, là c'è un muretto a secco troppo vicino al mare e i kayak forse non ci stanno, qua c'è un vecchio casolare abbandonato e magari c'è uno spiazzo accanto, lì che la spiaggia si allarga ci sono troppi massi sulla riva... Ecco, trovato: davanti alle canne, così domattina siamo in ombra!
Appena sbarcati si avvicina una mamma con un bimbo e ci dice di avere fatto kayak in passato e di apprezzare molto le nostre pagaie groenlandesi. Poi arriva anche il gentile signore francese che qualche giorno fa aveva offerto a Mauro una birra fresca per cena.
Poi cala il tramonto e restiamo soli sotto le stelle! E sotto l'unico lampione acceso del lungo mare!

Turisti per caso!
Le foto sono quasi tutte mosse, peccato: non abbiamo voluto usare il flash!
Le stalattiti (mosse!) della Grotta di Dhyros...
Sono state trovate stalattiti alla profondità di 71 metri sotto il livello del mare...
Sulla barchetta si rischia sempre di sfregare contro le pareti della grotta...
L'ultimo tratto a piedi...

Lunedì 21 agosto 2017 - 99° giorno di viaggio
Karavostasi - Stupa (25 km)
Vento W 8-10 nodi (F3) - mare poco mosso - 30°C
Dormiamo dodici ore filate, protetti dalle canne e dalle nuvole.
Oggi il cielo è coperto e la mattina, e poi anche l'intera giornata, è carica di umidità.
Il risveglio è lento, oggi anche più del solito perchè Mauro mi nega un salto al bar per la mia droga mattutina, il caffè frappè.
Resisto poco: dopo i primi 3 chilometri contro vento per uscire dall'ampio golfo di Karavostasi e dopo altri 10 chilometri lungo una costa alta, rocciosa ed inaccessibile, ripariamo nel porticciolo del bel paesino di Trachila per una pranzo in taverna. La doppia razione di zuppa di fagioli e di tzipouro mi fa navigare per il resto del pomeriggio in uno stato di grazie tale che arrivo a creare un poema epico sui pagaiatori di ogni epoca che sarà dato presto alle stampe coll'evocativo titolo di "Quelli che in kayak"...
Il Mani è finito: oggi varchiamo il confine ideale con la regione della Laconia. La costa però non cambia: è sempre orlata da scogliere basse a carciofo, di quel tipo appuntito e forato che non ci puoi avvicinare neanche la pagaia, è sempre chiusa da pareti strapiombanti di altezze notevoli, di quel tipo verticale ed inospitale che non ci puoi costruire neanche una chiesetta, ed è sempre sovrastata da montagne puntute e brulle, di quel tipo che il vento ha reso bruciate e pelate al punto che non si intravede neanche un alberello solitario.
Anche oggi dobbiamo programmare la tappa giornaliera tenendo conto dei pochissimi punti di sbarco.
Ne incontriamo uno soltanto, che però Mauro non aveva trovato sulle mappe satellitari, forse perchè lo scivolo ricavato tra gli scogli è molto recente. Guardiamo interessati quel piccolo porticciolo naturale dal nome altisonante di Porto Ghatea perchè abbiamo già risalito 8 chilometri ed il mio stomaco lamenta vuoti insaziabili, ma lo scalino ricoperto di alghe che si intravede anche dal largo non ci convince al punto da tentare uno sbarco. In più, tra lo scivolo e gli scogli, galleggiano troppi bambini vocianti e dopo la quinta volta che ci chiedono urlando "Where are you from?" pensiamo sia il caso di proseguire oltre.
Il paesino di Trachila è un piccolo gioiello, uno degli ultimi (o dei primi, a seconda del giro di visita) della penisola del Mani. Ha tutta una coroncina di casette di pietra a due piani, una piccola torre difensiva nel mezzo ed uno scivolo recente che rende possibile l'accesso al minuscolo porticciolo. Quasi non si capisce dove sia l'ingresso, così chiuso e protetto da una massicciata di scogli naturali spostati poco più in là del loro posto originario. C'è un piccolo scivolo di alaggio perfetto per sbarcare coi nostri due panfili, che trovano posto accanto a quattro grandi pentoloni lasciati in ammollo sul moletto di cemento, forse per pulire le incrostazioni più resistenti dopo una, pensiamo ben riuscita, festa di paese.
L'unica taverna è affacciata sul mare: dai bastioni rocciosi che sovrastano la baietta raccolta e ridossata si gode una visuale interessante.
Mangiamo da leccarci i baffi!
Ripartire non è facile, soprattutto perchè la nuvolaglia spessa e la foschia densa rendono mare e cielo di un uniforme grigio spento e non invitano certo alla navigazione. Però lo tsipouro fa il suo effetto ed io ricopro Mauro di chiacchiere fino allo sbarco serale.
Qualcosa cambia nella conformazione della costa, riesco a rendermene conto anch'io nonostante l'elevato grado etilico: la costa si abbassa e si ricopre delle prime piante, qualche cipresso e qualche pino, le montagne sono sempre molto alte ma più interne e meno incombenti.
C'è una chiesa che sembra una cattedrale, una vecchia taverna abbandonata ed una passeggiata sul lungo mare molto romantica.
Quando il sole tramonta dietro l'altra penisola, per noi la quarta del Peloponneso, la nostra prossima meta, il cielo si tinge di un rosa pesca prima e di un rosso amaranto dopo, tonalità così intense da lasciare tutti gli avventori della "nostra" taverna a bocca aperta, meglio ad obiettivo aperto, tanti sono gli scatti fotografici che riempiono la serata. Le lucine giallognole pian piano illuminano il vicoletto affacciato sul mare.
Mangiamo in taverna. E' vero. Sia a pranzo che a cena. Per ben due volte in una stessa giornata. Ma io continuo ad avere una fame tale che mangerei pure le gambe del tavolo!
Stanotte dormiremo tranquilli, anzi con tutta quest'ombra attorno, rischiamo di svegliarci a mezzogiorno!

Tra Dhyros e Karvostasi...
Il risveglio a Karavostasi...
Le ultime propaggini del Mani...
Il porticciolo di Trachila!
Ancora scogliere e montagne...
Ubriaca tra le ondine...
I nostri pini "soporiferi"!
Sosta culinaria a Stupa!

Martedì 22 agosto 2017 - 100° giorno di viaggio
Stupa - Stupa (0 km)
Vento W 8-10 nodi (F3) - mare quasi calmo - 30°C
Mezzogiorno no, però le dieci e mezza si!
I pini marittimi spandono odore di resina, che dev'essere forse soporifera.
Facciamo una prima colazione accanto ai kayak e poi programmiamo di andare a fare spesa in paese.
Stupa è una piccola cittadina balneare famosa per la sua spiaggia a mezza luna di una sabbia fine e dorata che attira bagnanti su tre file di ombrelloni e lettini. Le casette basse ed in pietra sono raccolte intorno ad un piccolo porticciolo naturale e le ultime taverne si affacciano sugli scogli traforati del capo, quelli tra i quali abbiamo trovato ieri un passaggio tutt'altro che lineare ed accanto ai quali oggi giacciono i nostri due piccoli panfili, al fondo di una caletta ridossata dove non entra neanche un'onda, all'ombra di una siepe di oleandri in fiore che sembra essere disdegnata da tutti gli altri vacanzieri. In paese c'è grande animazione, bar all'aperto, ristoranti sul mare, un centro di noleggio sit-on-top e pedalò, negozi di artigianato locale, e persino un laboratorio settimanale (che si tiene tutti i venerdì) di lavoretti coi "prodotti del mare": mi fermo ammirata a leggere il cartello almeno una decina di volte, pensando che sarebbe questo il lavoro ideale della mia vita, giocare coi legnetti e le conchigliette per realizzare "cose creative" e dare così sfogo alla mia vena latente di follia... Mauro mi scuote dai miei sogni ad occhi aperti e mi riporta sui miei passi: torniamo ai kayak per riporre la spesa nei gavoni, sperando che il puzzle tridimensionale riesca anche stavolta.
Pensiamo di ripartire non appena fatto il pieno di soldini e di droghe liquide: ci sediamo alla "nostra" taverna a bere un doppio caffè frappè e ci ritroviamo a modificare per l'ennesima volta il programma di viaggio. Invece di andare, oggi possiamo restare.
Un bel modo per festeggiare i nostri primi 100 giorni in mare: stando fermi a terra!
Qui a Stupa c'è tutto quello di cui abbiamo bisogno: ombra, cibo, tramonto sul mare e... pure il wi-fi per aggiornare il blog.
E questo vento leggero, che increspa appena il mare e che avrebbe reso anche oggi la navigazione tutt'altro che adrenalinica e spumeggiante, ci convince presto che abbiamo fatto la scelta giusta: secondo le previsioni meteorologiche, nei prossimi giorni il vento che interesserà il grande Golfo di Mesinia, dove ora ci troviamo, sembra voler seguire passo passo il nostro programma di viaggio, prima accompagnandoci verso nord e poi spingendoci verso sud quando sarà il momento di virare le prue di quasi 180 gradi. Insomma, cambiare idea in queste condizioni di bonaccia non è poi così difficile, e non dobbiamo neanche più pianificare le tappe con attenzione perchè i punti di sbarco adesso sono molto più numerosi e comodi...
Trascorriamo l'intero pomeriggio in completo relax, perfettamente a nostro agio tra il computer e le chiacchiere fitte tra noi!