SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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giovedì 20 luglio 2017

Meltemi e mare mosso: abbinamento perfetto!

Giovedì 13 luglio 2017 - 67° giorno di viaggio
Paralia Ishtmia - Megara (27 km)
Vento SE 8-10 nodi (F3) - mare quasi calmo - 35°C
Lasciamo il Canale di Corinto con una leggera brezza a favore.
Non abbiamo un programma preciso per la giornata: costeggiare o passare al largo.
Molto dipende dal paesaggio e dal traffico di mare e di terra. Non appena avvertiamo qualche rumore molesto, ci spostiamo a debita distanza. Dopo le lunghe giornate trascorse nella civiltà, specie quelle passate sulla popolare spiaggia di Posidonia in attesa di ricevere l'autorizzazione per attraversare il Canale di Corinto, adesso abbiamo bisogno di qualche giorno di libertà, di silenzio e di solitudine: noi, i kayak ed il mare.
La prima spiaggia di Kavo è attrezzata e la musica avvolge gli ombrelloni colorati. Tagliamo al largo sull'altro versante dell'ampio Golfo di Loutrà Elenis, che pure lasciamo volentieri scomparire dietro il leggero velo di foschia perchè anche il suo lungomare è affollato di taverne, bar e negozi.
Vogliamo le prue dei nostri due panfili verso una spiaggetta isolata e raggiungibile solo dal mare, visibile già in lontananza e sempre più bella man mano che ci avvicina. E' una piccola caletta di ciottoli bianchi incoronata dal verde accesso della macchia circostante: ci sono cinque tende montate sotto i pini e un vassoio di carta con quattro bicchieri di plastica di caffè frappè, tutti con la cannuccia nera ancora infilata nel foro. Ce ne andiamo subito: se non siamo capaci di tenere bene neanche il posto che scegliamo per passare i fine settimana, figuriamoci il resto della costa!
Sul capo si susseguono uno dietro l'altro le vasche abbandonate per l'allevamento del pesce, ora buone solo come tavole rotonde per i gabbiani.
Il vento rinforza e cambia direzione, diventando contrario: così però si porta via gli ultimi strascichi di voci e disco bar.
Pagaiamo di buona lena fino alle sette di sera, quando la temperatura diventa sopportabile.
Sbarchiamo in una piccola ansa protetta dal vento quando il sole è ormai calato dietro i monti e l'ha lasciata già tutta in ombra.
L'ambiente è molto invitante: un boschetto di pini sotto il quale sono state montate e lasciate due tende colorate, una doccia da campeggio, un'amaca, un ombrellone ed un grande bidone blu per la raccolta dei rifiuti. I frequentatori abituali di questa spiaggia si sono dati un gran da fare per sistemare al meglio ogni cosa e hanno persino realizzato sotto la boscaglia una grande piazzola ricoperta di ciottolini bianchi, ripulita di aghi di pino e perfetta per montarci un'altra tenda, la nostra.
La battigia è ricolma di ricci rossi, spiaggiati da tempo dopo chissà quale mareggiata, e solo pochi hanno ancora le spine attaccate: ne faccio incetta, sotto lo sguardo benevolo e rassegnato dell'Uomo di Ferro, che deve forse intuire dal sacchetto con cui torno alla base che non ne ho mai trovati così tanti tutti insieme!
La notte arriva presto e la mezza luna avvolge la spiaggia di un velo d'argento...

La prima sosta sul Peloponneso orientale dopo il passaggio del Canale del Corinto...
L'alba sul Peloponneso orientale
Il porto di Palià Epidauro

Venerdì 14 luglio 2017 - 68° giorno di viaggio
Megara - Palià Epidauro (25 km)
Vento ENE 10 nodi (F3) - mare quasi calmo - 35°C
La sveglia è all'alba, per via del sole che sorge dritto in tenda e per colpa di un nugolo di mosche, vespe e zanzare che ci tormenta appena mettiamo il naso fuori. Non tira una bava di vento, a dispetto delle previsioni: vediamo il mare increspato in lontananza, ma qui nella baia tutto è così immoto che il tempo sembra essersi fermato ed il caldo è così pastoso da rendere insopportabile ogni movimento sin dal primo mattino.
Partiamo di buon'ora, nella speranza di trovare refrigerio in mare.
Invece, la tavola blu è piatta come uno specchio. In più, è tutto un susseguirsi di allevamenti ittici e l'odore acre del mangime sparato nelle vasche non è dei più invitanti. Ma come: dopo cani, bambini, urla, traffico e musica, adesso ci si mettono anche i motori! L'Uomo di Ferro è fuori di sé.
Dobbiamo superare l'ultimo promontorio che chiude a sud il Golfo di Sofiko per lasciarci alle spalle le vasche dei pesci e ritrovare il mare aperto: finalmente possiamo goderci il suono delle gocce d'acqua che cadono dalla pagaia. Un lusso!
Appena oltre il capo, avvistiamo due tartarughe, una per uno, a poca distanza l'una dall'altra. Entrambe si inabissano non appena ci scorgono.
Il caldo è insopportabile anche oggi, fortuna che di tanto in tanto una leggerissima brezza contraria arriva a rinfrescare l'aria: anche se è contraria, ringraziamo di essere frenati nella nostra avanzata ma di ricevere almeno un qualche sollievo. Anche l'acqua è bollente ed esultiamo quelle rare volte che lungo la costa scoviamo una zona di acqua gelata, dovuta di certo alle infiltrazioni di acqua dolce provenienti dai monti circostanti. Il paesaggio è incantevole, specie quando raggiungiamo la baia che precede il paesino di Palià Epidauro, dove i pini marittimi crescono a pochi metri dal mare, avvolgendo nelle loro ombre ampie e fresche un gran numero di tende. Siamo tentati di sbarcare ma non vogliamo svegliarci un'altra volta all'alba perchè il sole entra nella nostra tenda prima ancora di fare capolino sul resto del mondo: ci serve una cala orientata ad ovest, stasera, non più ad est!
Raggiungiamo il bel golfo del paese di Palià Epidauro e facciamo per entrare in porto, l'unico che ci sia mai capitato di vedere senza alcun molo frangiflutti: ci sono solo due pilastri di cemento abbandonati in mezzo al mare, con le sommità dipinte di bianco, una fascia orizzontale rossa per uno ed una fascia orizzontale verde per l'altro... Nient'altro che due piloni. Chissà cosa aspettano a costruire il resto del porto. Oppure hanno deciso che va bene così, almeno non si insabbia!
Forse hanno scelto di non completare il porto per via della città sommersa dell'antica Epidauro, che deve essere da qualche parte qui vicino, oppure per non alterare la conformazione delle varie spiagge che si aprono all'intorno. Una è la nostra: protetta dal solito bosco di pini, ginepri e tamerici, è al riparo sia dal sole che dal vento. Nel frattempo, infatti, è finalmente arrivato il vento annunciato dalle previsioni e con lui anche una serie di barche a vela che gettano l'ancora in porto, in mezzo al golfo, proprio davanti ai nostri due panfili.
In spiaggia siamo soli: sbarchiamo contenti e ci dirigiamo in paese per spesa, bancomat e cena in taverna!

In navigazione nel Golfo di Epidauro
Il promontorio-non-isola
Il campo davanti alla villetta del contadino col cane
Temporale a Poros!

Sabato 15 luglio 2017 - 69° giorno di viaggio
Palià Epidauro - Agios Nikolaos (26 km)
Vento ENE 10 nodi (F3) in rinforzo nel pomeriggio - mare da quasi calmo a poco mosso - 34°C
La notte è stata un inferno: non sappiamo se sono peggio le zanzare oppure le persone.
Fino alle due del mattino le due ragazze "vicine di tenda" hanno chiacchierato fitto-fitto sulla spiaggia a due passi dalle nostre teste. Alle tre del mattino sono arrivate altre quattro ragazze per fare il bagno di notte e per ridere tra loro per oltre un'ora. Quando sembrava che si fossero acquietate, sono arrivati altri due ragazzi che hanno montato un mezzo condominio al centro della radura, piazzando due bei faretti che sparavano luce accecante fin dentro la nostra tenda. Tappi e paraocchi non sono serviti a scacciare malditesta e malumore.
Al mattino ci svegliamo molto tardi, grazie alla corretta disposizione del nostro campo e all'ombra che si mantiene fino dopo le undici.
Partiamo alle due del pomeriggio, per mille motivi diversi, tipo io che chiedo a Mauro: "Ma che stavo facendo?" e lui che mi risponde "Ti stavi distraendo, come al solito!"
Costeggiamo al largo la strada litoranea scavata nella roccia, con tanto di frane verso il mare e di tunnel in cemento dove uno smottamento più importante ha sepolto una parte della carreggiata. Dirigiamo verso il paesino di Nisidha: non posso mancare l'incontro con questo luogo che ha lo stesso nome del mia prima palestra di kayak, l'isoletta di Nisida nel Golfo di Pozzuoli. Ci andavo spesso in kayak e passavo interi pomeriggi a leggere sugli scogli piatti dell'ingresso della vecchia bocca del vulcano, col tempo diventata una splendida baia chiusa in cui sarebbe vietato passare ma dove i guardiani del carcere minorile chiudono spesso un occhio sulle infrazioni compiute in mare (che forse per loro si trasformano in un piacevole diversivo rispetto alla routine delle giornate di lavoro...). Ma insomma, la Nisidha del Peloponneso ha solo una parvenza di piccola isoletta, non ha il fascino della "mia" prima Nisida ed è soltanto un paesucolo abbarbicato ad un promontorio che domina il profondo Golfo di Epidauro.
Abbiamo già dal mattino deciso di non costeggiare fino all'istmo che si intravede laggiù in fondo, sormontato da una torre di avvistamento e da una strada costiera che rende ancor più evidente l'impossibilità di attraversarlo in kayak (hanno concentrato ogni sforzo nell'apertura del Canale di Corinto e questo piccolo istmo di meno di un chilometro non l'hanno mai neanche preso in considerazione: si deve aggirare tutta la penisola!).
Decidiamo così di attraversare il golfo una volta raggiunta Nisidha ma il vento interferisce coi nostri piani e ci impone una sosta forzata poco prima del paese: il vento annunciato da NE gira repentino ed entra da SE, con l'urgenza tipica dei venti catabatici ed una forza tale da imbiancare tutto il golfo in poco meno di cinque minuti.
Sbarchiamo per una breve sosta su una spiaggetta rimasta miracolosamente intatta dopo la frana che ha tirato giù un altro pezzo di strada costiera e tra i mille galleggianti spiaggiati troviamo anche un paio di copertoni di auto ed un pezzo di guard-rail. Mangiamo una barretta per recuperare energie e per lasciar passare qualche minuto: di solito, dopo il primo avviso, i venti catabatici si stabilizzano ad una velocità di poco inferiore.
Se non si fosse alzato il vento contrario, avremmo volentieri costeggiato fino all'istmo e poi anche risalito l'altro versante del Golfo di Epidauro per visitare il piccolo porticciolo di Vathi (l'ennesimo porticciolo chiamato Vathi della nostra amata Grecia!). Ma con questo vento dispettoso non ha alcun senso impiegare le prossime ore per pagaiare a testa bassa contro le raffiche che precipitano giù dalla montagna. E così alle cinque del pomeriggio, quando il golfo è ancora tutto rigato da onde perfettamente allineate, noi riprendiamo il mare in direzione del capo opposto, tagliando di netto una buona parte del golfo e puntiamo la caletta isolata in cui spunta soltanto una casetta dal tetto rosso e qualche alberello che fa presagire l'ombra necessaria a sopportare il sole cocente del mattino.
Mentre pagaiamo in mezzo al mare, in questa pseudo-traversata che ci fa divertire e stancare al tempo stesso, il sole si nasconde dapprima dietro una nuvoletta che pare seguire la nostra rotta e poi sotto un fronte nuvoloso di tutto rispetto che ricopre grandi spicchi di cielo sopra le nostre teste. Almeno la temperatura diventa accettabile e non è più così cocente come nella giornata di ieri. Col vento al mascone arranchiamo per quasi due ore, finchè non ne possiamo più e scegliamo di virare le prue di quasi 90 gradi, di sfruttare il vento al giardinetto e di filare fuori dal golfo. Dimenticata la casetta e l'ombra degli alberelli, ci portiamo su quel capo laggiù che spicca per le sue rocce rosse, in netto contrasto con la piccola chiesetta bianca sull'estremità.
Mi piace sempre tanto quando abbiamo l'elasticità di adattare i nostri programmi alle variazioni meteorologiche e di approfittare delle condizioni circostanti per trarne qualche piccolo vantaggio. Almeno così smettiamo di faticare per risalire le onde e possiamo riprendere un po' di fiato.
Poi sembra comparire una secca ma sono dei pescioni enormi che mangiano a quattro palmenti. Provo a calare una delle mie lenze ma loro sono più veloci di me e scompaiono subito nel mare blu. Tornano però non appena tiriamo i kayak in secca, su una spiaggia di pietre rosse, tanti ciottoli ben levigati ma grossi come delle arance.
L'unico tratto accogliente di costa è quello prospiciente una villetta a due piani: veniamo accettati prima dal cane, un bellissimo esemplare di husky bianco, che ci fissa per lunghi minuti ma non accenna mai ad abbaiare, e poi dal padrone, un contadino che annaffia l'orto e che appena vede le nostre manovre di accampamento ci porta due bottiglie d'acqua ghiacciata.
Ceniamo davanti alla tenda, ammirando il tramonto sul Peloponneso e aspettando la notte fresca ma abitata da troppi esserini zampettanti...

La spiaggia della "monnezza" a nord di Poros
Il campo a Paralia Bidalika sul Peloponneso, di fronte alle isole gemelle di Skyli e Spathi...
In traversata verso Hidra!

Domenica 16 luglio 2017 - 70° giorno di viaggio
Agio Nikolaos - Paralia Vagionia, Poros (25 km di cui 11 in traversata)
Vento NE 15-18 nodi (F4-5) - mare da calmo a molto mosso - 32°C
Il risveglio è precoce, sia per il sole che morde sia per le uova di struzzo sui cui abbiamo dormito.
Questi ciottoloni rossi sono ben levigati e ricchi di piccole inclusioni scure, sassi di origine vulcanica come tutta la zona circostante e l'intera isola. Mauro è stato capace anche stavolta di trovare un quadratino adatto per montare la tenda e con degli aggiustamenti strategici, che hanno richiesto oltre un'ora di lavoro, ha reso abitabile un dirupo sconnesso. In effetti, anche lui ha preso a giocare coi sassi, non li impila come faccio io ma li sposta e li sistema ad arte per creare dei ripiani perfetti che neanche con una livella...
Salutiamo dal mare il cane ed il contadino e proseguiamo il periplo di questo strano promontorio-non-isola.
Arriviamo presto al porto principale di Methana ma per evitare la calca sbarchiamo nella caletta subito precedente, dove ci sono solo una famigliola ed una coppia all'ombra dei due unici ombrelloni di legno della spiaggia. Siamo quasi soli e questo ci basta. L'unico problema rimane la scarsa e discontinua connessione, in un giorno per noi speciale perchè vogliamo chiamare il Mammut per farle gli auguri di buon compleanno (ma non ce la sentiamo proprio di infilarci nel caos della città di mare!).
Questa mattina è partita come una delle solite mattine afose, senza un briciolo di vento, che ci obbliga a ripetute abluzioni per rinfrescarci e che ci fa consumare una grande quantità d'acqua da bere. Ma si trasforma presto in una giornata molto diversa dal solito, con vento forte e freddo e con mare grosso ed impegnativo. Come ieri, adattiamo il nostro viaggio alle condizioni meteo-marine che incontriamo: il vento che si fa sempre più insistente ci aiuterebbe ad entrare velocemente nel grande Golfo di Poros ma poi saremmo costretti a pagaiare contro vento per risalire tutto l'altro versante. Scegliamo quindi di tagliare al largo.
Sono stanca e preferirei fare un sonnellino durante la pausa ma Mauro mi sprona a riprendere a pagaiare: "Intanto che non c'è ancora vento!", dice.
Il vento forte arriva quando siamo al centro del golfo, neanche si fosse calibrato sulla nostra andatura.
Il mare diventa nero come il petrolio e fa risaltare il bianco opalescente sia delle creste dei cavalloni che delle vele che incrociano in ogni direzione. Solo il cafonauta sul motoscafo a tre piani non sa bene che rotta scegliere quando si approssima ai nostri due piccoli panfili e si becca una lunga serie di insulti multilingue, prima in italiano e poi pure in greco! A parte questa piccola disavventura, tutta la traversata è molto divertente. Anche se un tantino impegnativa. Vento forte, onde alte, le isole intorno che appaiono e scompaiono: la navigazione inizia con un mare quasi tranquillo per i nostri gusti, con ondicelle al mascone che a volte ricoprono i ponti dei kayak ma che raramente ci richiedono degli appoggi per mantenere l'equilibrio; pochi minuti dopo, invece, il mare si gonfia e le onde salgono ad oltre un metro, spesso frangenti e sempre quando ci passiamo noi sotto! L'andatura è molto piacevole, comunque, col mare al giardinetto e le onde corpose che spingono sempre in avanti con fare deciso e delicato al tempo stesso, basta infilare la pagaia sulla cresta e seguire l'andamento del mare.
Alla fine, quando siamo ormai in prossimità dell'isola, incontriamo sul capo una bella lavatrice del tipo "ognuno per se", resa ancora più difficile dalla presenza di un gommone con due sub a bordo che stanno forse cercando di sbrogliare la cima dell'ancora arrotolata all'elica del motore perchè rimangono per oltre mezz'ora a tergiversare proprio sul capo più esposto al vento e alle correnti... e che ci costringono a pagaiare sempre più sotto la scogliera sommersa di frangenti, in una zona di mare bianco che in altre circostanze avremmo volentieri evitato.
L'ingresso nella baia è da capelli dritti in testa perchè le onde già grosse in mare aperto una volta sospinte nello spazio ristretto della caletta rocciosa non hanno altro sfogo se non verso l'alto. Dopo un buon quarto d'ora di sali scendi e di spiaggia che appare e scompare, scoviamo un piccolo porticciolo ricavato sul lato più protetto dell'insenatura, dove c'è persino un po' di sabbia. Tiriamo i kayak in secca e ci ricaviamo un angolino tra i due gozzi grande abbastanza anche per la nostra tenda.
Ci meritiamo la cena in kantina!

Mauro sotto il faro di Hidra
Tatiana sotto il faro di Hidra
La costa rocciosa del versante meridionale di Hidra

Lunedì 17 luglio 2017 - 71° giorno di viaggio
Paralia Vagionia, Poros - Paralia Bidalika, Peloponneso (21 km)
Vento NE 8-10 nodi (F3) - mare da poco mosso a mosso - 26°C
Ci sveglia un temporale notturno alle cinque del mattino: scuoto Mauro dal suo lieve russare ed in pochi minuti montiamo il telo esterno della tenda. I goccioloni freddi ci inzuppano la maglietta che usiamo come pigiama e cominciamo presto a battere i denti dal freddo: restiamo avvolti nel sacco a pelo per una decina di minuti prima di far svanire questa inaspettata sensazione di inverno anticipato. Riusciamo a riprendere sonno solo perchè non siamo abituati a svegliarci in una stagione sbagliata e dormiamo fino a tardi perchè il sole resta nascosto prima dietro il monte e poi dietro altri nuvoloni che si addensano durante la mattinata.
Ci meritiamo la colazione in kantina! Pranzo, a dire il vero, visto che la cucina apre solo dopo l'una e noi ci predisponiamo ad attendere l'orario giusto all'ombra degli ombrelloni di paglia che circondano la piccola roulotte che funge da kantina. Gli altri ombrelloni che punteggiano la spiaggia sono stati tutti tolti di buon'ora, prima i cappelli in ferro e poi anche i pali di legno: temiamo che i gestori della kantina sappiano qualcosa che noi ignoriamo sull'arrivo di un'altra forte perturbazione, magari una burrasca che minaccia di sradicare gli ombrelloni... invece, è solo arrivato il diniego della licenza, ci spiegano subito con evidente disappunto, visto che siamo ormai a stagione inoltrata!
Partiamo con calma, tanto il mare è con noi anche oggi.
E facciamo bene ad aspettare, perchè nel frattempo arriva un altro temporale.
Ci vestiamo di tutto punto, con giacca d'acqua e cappello nord-ovest, cosa che non saremmo riusciti a fare se fossimo partiti prima e l'acquazzone ci avesse sorpreso in mare. La pioggia è fitta e pesante, tipica di un temporale estivo in piena regola, ed in un attimo scompare il resto del mondo.
Immergiamo le mani in acqua per scaldarle e intanto le cipolle dell'insalata greca mangiata a pranzo vanno su e giù insieme alle onde lunghe che avvolgono l'isola. La pioggia ci segue per alcuni chilometri ed il mare diventa di un colore scuro e metallico che ci trasmette una punta di tristezza. Ma dura poco: sostituiamo il cappello nord-ovest con il solito cappello estivo dopo appena mezz'ora di pagaiata tranquilla e troviamo poco oltre anche una caletta dove sbarcare per togliere la giacca d'acqua.
Atterriamo su un cumulo di immondizia. Mai vista una spiaggia più sporca di questa: la plastica si deve essere ammonticchiata nel corso di diverse mareggiate in chissà quanti anni! E' talmente sporca che la tristezza torna e mi strappa qualche lacrima amara. Ma poi la tentazione di grufolare è talmente forte che istigo Mauro a fumare pur di avere il tempo di rovistare tra bottiglie, giocattoli rotti, tappi colorati, tubi e zaini, persino pezzi di automobili e galleggianti dello sciacquone del water... io trovo due formine, qualche rastrello ed una decina di palline, lui invece solo cose utili: un altro thermos in buone condizioni, solo un po' arrugginito. In quel cumulo di plastica, però, riesco a scovare un nuovo ornamento per la mia prua e riparto col morale un po' risollevato: alla fine, deve essere proprio vero che c'è sempre del bello in ogni cosa, anche la più brutta!
Dopo la pausa veloce e proficua riprendiamo la navigazione per raggiungere il Golfo di Poros, col suo piccolo stretto a separarlo dal resto del Peloponneso. Pagaiamo accanto ad una delle isolette che incoronano questa parte del Peloponneso, Nisos Modi, lunga e stretta e con una cresta rocciosa che la fa assomigliare ad un grande drago addormentato. Non appena avvistiamo il primo dei quattro alberghi bianchi a sette piani, però, puntiamo diretti sull'altro versante dello stretto e, schivando prima l'aliscafo di linea e poi un catamarano della Tasmania (che ci passa davanti senza mai virare dalla rotta di collisione finché non ci siamo costretti a fermarci per farlo passare!), arriviamo sull'estremità orientale della prima grande penisola del Peloponneso e ci mettiamo in cerca del nostro campo per la notte.
Sbarchiamo in una baietta ridossata proprio quando il sole, comparso per qualche minuto, viene di nuovo oscurato da nuvoloni grigi e pesanti.
Ci sbrighiamo a sistemare la tenda sotto una coppia di bellissimi eucaliptus e per non farci trovare impreparati montiamo anche il secondo telo: nel frattempo, un papà ed una bambina sono intenti a sgonfiare un bellissimo materassino a forma di aragosta e ci scambiamo i soliti saluti di rito.
Per la prima volta dall'inizio del viaggio dormiamo con l'apertura della tenda opposta al mare, per assecondare l'inclinazione del terreno: affacciamo così su un grande campo di giovani ulivi sotto i quali corrono tubi di irrigazione a disegnare in terra perfette corsie nere. Fotografiamo una grandissima mantide religiosa e poi restiamo qualche minuto ad ascoltare la risacca, stasera molto variegata per via del fronte di posidonia che ha creato bastioni tra cui l'acqua si insinua con gorgoglii ogni volta differenti.
Mentre ci prepariamo a dormire, arriva un'auto che parcheggia proprio accanto alla nostra tenda: scendono il papà e la bambina di prima, mano nella mano, e ci dicono: "Hello, my friends, this is a little present for you!". L'entrata della tenda viene occupata da una grande busta ricolma di pomodori, cetrioli, cipolle, peperoni e limoni... così freschi da inondare tutto l'interno col loro profumo intenso!

Il campo a Limnioniza su Hidra

Martedì 18 luglio 2017 - 72° giorno di viaggio
Paralia Bidalika, Peloponneso - Limnioniza, Hidra (21 km di cui 10 in traversata)
Vento N 14-18 nodi (F4-5) - mare mosso - 25°C 
Stamattina è il vento che ci sveglia, ma neanche troppo presto.
I rami bassi degli eucaliptus ci fanno ombra per tutta la mattina e ci tornano utili per stendere quel che si è bagnato durante la notte.
Ha piovuto ancora, fino alle due del mattino, prima qualche gocciolina leggera che ticchettava appena sulla tenda, poi goccioloni pesanti che hanno tamburellato a lungo sulle nostre teste e che hanno lavato per bene i kayak e l'attrezzatura lasciata all'aperto.
Appena finita la colazione, saliamo sul piccolo promontorio per andare a misurare con l'anemometro il vento che da ore gonfia il mare nello stretto tra questa estremità del Peloponneso e le due isolette gemelle di fronte: la mappa 1:200.00 che stiamo usando per questa zona non riporta il nome del capo principale, ma quello delle isole è invece ben indicato, Nisos Skyli a nord e Nisos Spathi a sud. Ci sediamo su uno dei massi che permettono di godere di un'ampia visuale sulla baia ed avvistiamo dall'alto un'altra tartaruga Caretta caretta che nuota in superficie e che di tanto in tanto tira fuori la testolina per sbuffare e respirare.
Le raffiche raggiungono i venti nodi: le previsioni sono confermate. Partiamo.
Avremmo voluto costeggiare il tratto meridionale di questo bel promontorio poco abitato del Peloponneso e poi traversare sulla grande isola di Hidra per raggiungere il suo porto principale, affacciato sul versante settentrionale, e dopo la sosta in paese, magari con una passaggio veloce in taverna, avremmo voluto risalire la costa nord-orientale per portarci sul versante meridionale. Con questo vento forte che soffierà imperterrito per altri tre giorni, e che ci ricorda così tanto il Meltemi delle Isole Cicladi, dobbiamo per forza rivedere i nostri piani: sfruttiamo la sua spinta, rinunciamo alla visita dell'unica cittadina di Hidra e costeggiamo soltanto il suo versante meridionale. Del resto, in questo viaggio, a differenza del precedente, non abbiamo mai effettuato il periplo completo delle isole, come invece abbiamo fatto con tutte le Isole Cicladi, ma ci siamo limitati ad esplorare il versante che sapevamo o intuivamo più interessante, specie se lontano dai centri abitati e dalle località turistiche come è nel caso di Hidra. Di questa isola che incorona la prima penisola del Peloponneso abbiamo a lungo sentito parlare, sempre con entusiasmo, sia da greci che da stranieri, e la scorsa estate su Kimolos, una delle Cicladi Occidentali, abbiamo avuto la fortuna di incontrare una coppia di medici originari proprio di Hidra, che da canoisti praticanti ci avevano consigliato vivamente di fare una tappa sulla loro isola natale. Siamo rimasti in contatto, come ci capita spesso con le persone che incontriamo durante i nostri viaggi in kayak, ma loro saranno di ritorno a Hidra per le vacanze estive soltanto ad agosto inoltrato. Dovremo contare sull'ospitalità di qualche altro locale...
Il vento è così forte che le barche a vela che risalgono a motore verso nord restano a lungo bloccate nello stretto tra le due isolette gemelle: noi ci passiamo in mezzo con le onde al giardinetto e dopo appena dieci minuti siamo pronti per affrontare la nostra traversata verso il faro di Hidra, sull'estremità nord-orientale dell'isola. Evitiamo prima una barca a vela che ci passa a prua e subito dopo un catamarano che, caso unico ed isolato, cambia rotta ed incrocia a poppa. Dei traghetti che fanno la spola tra il Peloponneso, l'isola di Poros, quella di Hidra e la successiva isola di Spetses non c'è traccia, forse per l'orario sempre alquanto attardato con cui noi di solito ci mettiamo in mare. Oggi navighiamo dall'una alle quattro e mezza del pomeriggio, coprendo la traversata in meno di due ore e godendoci nel tempo restante la costa brulla e rocciosa di Hidra.
La navigazione in mare aperto, benchè impegnativa, non ci impensierisce mai, anzi ci diverte e gratifica perchè erano giorni ormai che non ci capitava più di affrontare un mare mosso come quello che avevamo lasciato l'estate scorsa alle Isole Cicladi. Affacciati sul Mar Egeo, ritroviamo oggi molte similitudini con le condizioni in cui avevamo pagaiato in quel lungo viaggio in compagnia del Meltemi. Questo vento cala la sera, sempre, e benchè spiri da nord non siamo proprio sicuri che si possa definire propriamente un Meltemi. Ma ci tiene sul chi va là come un vero Meltemi.
Le raffiche sono potenti, ma molto meno di quando ci trovavamo ancora tra le isolette gemelle di Skyli e Spathi, dove risentivano dell'orografia del terreno e si rincorrevano tra le colline spoglie. Qui al largo non trovano ostacoli e gonfiano il mare con delle belle onde regolari che a tratti raggiungono anche i due metri. Il cielo è ancora coperto e come ieri una nuvoletta scura ci segue in traversata. Poi a Hidra scompare.
Questa traversata silenziosa e solitaria mi fa pensare che molto di quel che ho imparato in kayak lo devo ai viaggi per mare. Non tanto ai libri letti, o ai corsi seguiti, o alle cose sentite dai tanti pagaiatori conosciuti negli anni, ma piuttosto alle lunghe ore di navigazione, al tempo passato con la pagaia in mano, ai giorni trascorsi in mare. Penso a quanto è bello navigare in mare aperto, alle emozioni che provo a stare in kayak, a come ho imparato ad amare questa vista di mare. Ripenso ai viaggi fatti insieme all'Uomo di Ferro e a quanto sono diventati importanti per me: nei corsi ho imparato le manovre di conduzione del kayak, la risalita o i salvataggi assistiti, nei libri ho capito i diversi metodi di insegnamento e le diverse tecniche di conduzione del gruppo, oltre alla secolare cultura Inuit e alla lunga storia del kayak da mare, alla evoluzione dei modelli e all'annosa questione della lunghezza delle pagaie, al miglioramento dei materiali e delle attrezzature di sicurezza. Lo studio mi ha fatto scoprire un mondo ma è stato poi il viaggio che mi ha fatto amare questo mondo. E' in viaggio che ho imparato a conoscere il mare, a capire le sue intemperanze, a riconoscere i suoi sbalzi d'umore. E' in viaggio che ho capito come mettere in pratica le cose studiate in teoria. Ed è sempre in viaggio che ho saputo fondere in un'unica grande assoluta passione le tante piccole passioni che già occupavano la mia vita, la musica, la lettura, la scrittura, la fotografia, la raccolta di piccole cose preziose e di tanti momenti unici... L'esperienza migliore è quella vissuta in navigazione.
E' grazie ai tanti viaggi fatti che mi diverto così tanto in mezzo a questo bel mare mosso!
Persa in mezzo a tutti questi pensieri non mi accorgo quasi che la traversata volge ormai al termine e il tempo vola via veloce come le berte che planano intorno ai nostri kayak, molto più vicine delle altre volte.
Il faro del capo nord-orientale di Hidra non è un lilliputh-faro, come avevo pensato in un primo momento, non riuscendo a scorgerlo da nessuna parte, ma un vero faro in muratura con le belle greche in marmo bianco ad abbellire gli angoli della torre che sorregge la luce. La lavatrice che incontriamo sotto il faro è una di quelle da tenere impegnati a lungo, concentrati sull'andirivieni di onde che sbattono sulla costa rocciosa e cercano un modo per tornare al largo. Il kayak prende a "sculettare" di qua e di là così tanto che è del tutto inutile cercare di tenerlo a bada: lui ed il mare stanno facendo conoscenza e tanto vale lasciarli fare. Dopo una ventina di minuti usciamo da quel bailamme di onde e spruzzi e ci ritroviamo sotto la scogliera bianca, dilavata e brulla del versante meridionale di Hidra. Da soli. Soltanto noi, i kayak ed il mare.
Una meraviglia che dura un'altra oretta, fino alla "nostra" spiaggetta, raggiungibile quasi solo dal mare: quasi perchè c'è un sentiero impervio che scende dalla chiesetta di Aghios Nikolaos e che viene percorso con evidente difficoltà da due australiani che appena giù si tuffano in acqua per una nuotata rinfrescante. Ci fanno i complimenti per i bei kayak e per il bel viaggio prima di arrampicarsi ancora su per il sentiero e scomparire dietro uno dei tornanti più alti. Non c'è ombra perchè non ci sono alberi, ma non c'è neanche il sole perchè le nuvole lo hanno nascosto ancora.
Adesso restiamo davvero soli e ci godiamo il lungo pomeriggio di libertà: riposiamo, nuotiamo, scriviamo, ceniamo e... grufoliamo. Dopo tante cose inutili, ne trovo finalmente una utile che persino l'Uomo di Ferro riesce ad apprezzare: un tre-piedi snodabile per la macchina fotografica quasi nuovo che subito scompare in un dei gavoni del suo Voyager...
E ci ritiriamo in tenda ancor prima che faccia buio: col secondo telo montato a scopo scaramantico.

Ancora in navigazione lungo il versante meridionale di Hidra...
Le gole profonde di Hidra...
Lungo il verdeggiante versante occidentale di Hidra
Il faro di Dokos
Mercoledì 19 luglio 2017 - 73° giorno di viaggio
Limnioniza, Hidra - Paralia Agios Nikolaos, Dokos (28 km di cui quattro in traversata)
Vento N 12-15 nodi (F4) - mare da mosso a poco mosso - 26°C
E va bene: forse questo è il vero Meltemi. Soffia per tutta la notte, imperterrito, e ci strappa più volte dai nostri sonni.
Al risveglio, però, il sole tarda a fare capolino da dietro il promontorio sul mare e possiamo prendercela comoda come sempre.
Quando lungo lo stesso sentiero che ieri pomeriggio avevano percorso i due australiani scendono altri cinque escursionisti francesi, Mauro comincia a scalpitare ed elabora la seguente teoria che mi sento di condividere: quando la spiaggia è deserta, un gruppo di cinque persone è molto più numeroso di due gruppi da 2+3 persone! Vero!
Costeggiamo quest'isola rocciosa ed impervia, con grandi scogliere bianche, di tanto in tanto colorate da inserzioni verdi e rosse, come i ciottolini di cui era ricca la "nostra" spiaggia. Contiamo appena una decina di casette bianche, una decina di chiesette bianche ed un numero uguale di alberi. Ci sono però due lunghissimi muretti di pietre che corrono dalla cima della montagna fin giù al mare e che dividono chissà quali proprietà, visto che non c'è neanche l'ombra di altre costruzioni o di armenti e in giro non vediamo né sentiamo neanche una capra. Il versante meridionale è battuto da forti venti catabatici che lo rendono brullo e sassoso e che ci impongono di variare la nostra strategia di navigazione, prima cercando di sfruttare il vento che avvolge l'isola e poi cercando di evitare le raffiche contrarie che scendono giù dalle gole. Procediamo così a zig-zag, prima al largo, poi lungo costa, passando da un'andatura di quattro nodi nel mare increspato di onde frangenti ad una misera velocità di 0.0 nel mare piatto come uno specchio ma schiacciato da raffiche potenti che si infilano nelle gole.
Le pareti rocciose diventano sempre più alte ed impervie e verso la parte sud-occidentale di Hidra si incontrano dei veri e propri canyon che dividono le vallate e creano scenari fuori dal comune. Sul capo occidentale si aprono una serie di piccole isolette che proteggono una delle baie più ampie e ridossate dell'isola, dove vengono a gettare l'ancora diverse imbarcazioni. C'è troppa gente, per i nostri gusti: erano già tanti i cinque escursionisti francesi, questi turisti assiepati sotto gli ombrelloni sono un esercito! Ci sono anche due barche a vela e due yacth a cinque piani ormeggiati in rada e noi, coi nostri due piccoli panfili, ci sentiamo di troppo.
Puntiamo la caletta isolata più a sud, così piccola da essere trascurata dalle grandi masse: è tutta per noi e possiamo elaborare un piano di riserva. L'idea iniziale era di raggiungere la cala affollata e di fare campo lì, se ci fosse stato almeno un albero per procurarci l'ombra che ieri non era fondamentale ma che oggi diventa indispensabile perchè il cielo si è finalmente liberato da ogni nuvolone e, benchè la temperatura sia ancora "bassa", quando il vento cala il sole torna a mordere come nei giorni scorsi. Scartato questo piano n.1, passiamo al piano n.2: traversare prima sull'isola intermedia di Dokos e poi sul promontorio di Ermioni sul Peloponneso, così da essere sicuri di trovare una connessione abbastanza forte per riuscire finalmente ad aggiornare il blog. Ma il piano n2. comporta anche un ritorno alla civiltà ex abrupto. Non siamo preparati. Elaboriamo allora il piano n.3: traversare su Dokos e cercare un campo nella sua baia più ampia. Anche se dobbiamo pagaiare contro vento. Anche se rischiamo di impiegare ore per coprire la breve traversata che separa le due isole. Tutto pur di sottrarci alla folla per almeno un'altra giornata!
Scelto con convinzione ed entusiasmo il piano n.3, ci prepariamo a traversare sul bel faro di pietra di Dokos proprio qualche minuto dopo che il veloce catamarano colorato ha fatto il suo ingresso nello stretto. Appena mettiamo la prua dei Voyager oltre il capo, le raffiche sono così forti che restiamo bloccati nello stesso punto per qualche minuto, come le barche a vela rimanevano bloccate ieri nello stretto tra le due isole gemelle. Ma poi qualcosa succede, come sempre, e riusciamo a risalire il vento contrario, anche se molto lentamente. Il mare rimane tutto per noi e benchè le onde siano contrarie ci tengono allegri per tutto il tempo. E' sempre bello capire che nonostante le raffiche a 18-20 nodi siamo ancora capaci di avanzare contro vento! Sotto le scogliere rocciose di Dokos, poi, troviamo anche una bella lavatrice incasinata che ci tiene occupati per altri tre chilometri, forse i più faticosi della giornata.
Il Meltemi sembra volerci dare il suo saluto di bentornati nell'Egeo!
Anche Dokos è un'isola rocciosa, scoscesa e brulla. Il versante meridionale ha scogliere verticali che precipitano in mare e che non offrono alcun punto di sbarco. Il versante settentrionale, invece, si apre in un ampio golfo interno che ospita ben due piccoli porticcioli turistici, attrezzati di tutto punto. Appena ci affacciamo al suo interno, temiamo di essere caduti dalla padella nella brace perchè al molo sono attraccate oltre trenta barche a vela. Poi però capiamo che la "nostra" spiaggia è poco più in là ed è la più incassata della baia, la più ridossata dal vento e la più trascurata dai velisti: in rada contiamo appena cinque vele.
Sbarchiamo tra un gregge di capre che pascola in spiaggia e riceviamo presto anche la visita di un mulo: Mauro stringe amicizia con tutti, purchè non siano bipedi!

L'arrivo ad Agios Nikolaos su Dokos
Il campo ideale nella pietraia di capre di Dokos
In traversata da Dokos al Peloponneso, qui nella baia di Kranidhi...
L'ingresso nella baia più protetta di Agios Emilianos, di nuovo sul Peloponneso!

Giovedì 20 luglio 2017 - 74° giorno di viaggio
Paralia Aghios Nikolaos, Dokos - Agios Emilianos, Peloponneso (18 km di cui 9 in traversata)
Vento N 12-15 nodi (F4) - mare da mosso a calmo - 28°C
Siamo come sempre fortunati, abbiamo trovato il campo ideale: è al riparo dal vento, dal sole della sera e del mattino, è isolato e bello.
Peccato solo che sia una pietraia adatta solo alle capre. Con una chiesetta bianca, dedicata neanche a dirlo al santo più gettonato della chiesa ortodossa greca, San Nicola. La signora che ieri sera era scesa a dorso di mulo, torna stamattina ad accendere la moto-pompa per riempire d'acqua dolce le vasche usate come abbeveratoi per le capre e si ferma a fare quattro chiacchiere in dialetto stretto: indossa un paio di vecchi panta-collant viola e un maglietta a righe gialle e verdi, ha i capelli neri con la ricrescita bianca di quattro dita ed un mollettone per tenerli legati che ha un grande fiocco di plastica rosa... sembra Maga Magò e non capiamo una parola di quel che urla ai cani, al mulo e a noi. Capiamo però che l'isola di Dokos non è disabitata, tutt'altro.
In mare ci aspettano onde al giardinetto che ci spingono lungo tutto il versante settentrionale dell'isola, fin dentro lo stretto canale che la separa dal Peloponneso, dove si intensificano sia le correnti che le raffiche, costrette tra due alti promontori rocciosi quasi gemelli. Il vento ci spinge anche dopo, quando scegliamo di non risalire il golfo di Ermioni e neanche di entrare in quello successivo di Kranidhi, soffocato da alberghi troppo alti e troppo brutti, ma di proseguire verso sud col vento in poppa e di affrontare una traversata lunga nove chilometri: corriamo a nove chilometri orari, quindi arriviamo in un batti baleno, ben prima del previsto, e avendo pagaiato poco meno di tre ore.
Succede che mi perdo in un mare di pensieri, ancora una volta, e le ore in mare volano via.
Passiamo d'infilata la luce bianca e rossa fissata su un pilastro di cemento a segnalare una secca di scogli affioranti e d'un tratto ci ritroviamo in un mare del tutto diverso: di là dal capo c'erano solo cavalli bianchi, di quà dal capo c'è solo uno specchio piatto verde e azzurro.
Appena oltre il capo sormontato da una chiesetta bianca troviamo il nostro nuovo campo. Anche questo ha tutte le caretteristiche di un campo ideale: sabbia fine, acqua trasparente, baia protetta dal vento, stradina costeggiata da oleandri in fiore ed una piccola pineta ombreggiata perfetta per la nostra tenda. Inoltre, si avvicina un signore molto gentile che metà in greco e metà in inglese ci chiede dove siamo diretti e, saputo del giro del Peloponneso, ci chiede anche di scattare una foto-ricordo insieme. Prima di tornare sotto il suo ombrellone, ci spiega che scriverà un articolo per il giornale locale dell'Isola di Naxos, nelle Cicladi Orientali: a saperlo prima, ci saremmo messi in ghigheri!
Prima di montare, visto che è appena passata l'ora di pranzo, ci concediamo un lungo bagno ristoratore, uno shampo che desideravamo da giorni e un'asciugata completa al contenuto del mio terzo gavone, che ha imbarcato acqua a palate perchè non ho fatto attenzione a sistemare a dovere la cimetta di sicurezza del tappo, che rimasta incastrata tra la mastra ed il tappo stesso ha "risucchiato" acqua durante tutta la traversata... Nessun danno, comunque, perchè il telo da mare che sistemo sopra a tutte le sacche stagne ha assorbito la maggior parte del liquido, le sacche stagne per quanto datate sono ancora in buono stato e soprattutto lo "straccio di sentina" che sistemiamo sul fondo di ogni gavone ha dimostrato ancora una volta di assolvere a dovere alla sua funzione.
Le cicale friniscono all'impazzata: quando il vento cala non si respira dal caldo.
Ci cambiamo in fretta e altrettanto in fretta salutiamo i nostri due panfili, adagiati all'ombra di due bei cespugli.
Siamo pronti per andare in taverna: e per aggiornare finalmente il blog!

1 commento :

  1. Siete mitici. Quest'anno con il solito gruppetto di amici faremo il bel viaggetto on the road in Grecia. Ovviamente porteremo i kayak e vedere gente cosi' è sempre un ottimo spunto.

    Complimenti sia per l'idea di viaggio che per lo spirito <3
    Tanta stima

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