SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro lungo viaggio in Grecia...
prima le coste occidentali delle Isole Ioniche... quelle che più ci sono piaciute nei viaggi precedenti, e poi il periplo del Peloponneso.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di maggio e contiamo di finire entro settembre. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro


Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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mercoledì 10 maggio 2017

La battaglia delle giacche d'acqua

Martedì 9 maggio 2017 - 3° giorno di viaggio
Nea Selefkia - Confine greco-albanese (20 km)
Vento NW 8-10 nodi (F3) - mare da poco mosso a calmo - 19°C
Prima ancora del sole, ci svegliano i rondoni che discutono animatamente appollaiati sulla nostra tenda.
Ma noi restiamo impassibili fino allo scoccare delle dodicesima ora: ritemprati dalla lunga notte, andiamo a fare colazione al bar!
Il paesino affacciato sul mare è ancora sonnolento: due pescherecci ancorati in porto e due barche a vela impegnate in ripetute manovre di ormeggio, qualche ragazzotto che gira in motorino e poche persone che passeggiano davanti alle cinque taverne di pesce.
Non c'è molta scelta, dobbiamo accontentarci di due cornetti gelato e di due caffè frappè, stamattina senza ghiaccio.
Il sole tarda ad uscire ma quando finalmente si apre un varco tra le nuvole paffute allora la mattinata prende un'altra piega: ce ne restiamo seduti al tavolino all'aperto gustandoci un dolce far niente insieme allo spettacolo di questo mare interno stirato dalle prime ore di luce e dalla completa assenza di vento. Ovunque si volga lo sguardo, da questo paesino senza nome e senza storia, si scorgono terre emerse tutte intorno alla linea dell'orizzonte e sembra quasi di trovarsi sulla riva di un grande lago pacioso e cinereo. Riconosciamo le alture di Corfù verso ovest e le ultime propaggini di costa greca verso nord, come pure le isolette che chiudono il golfo di Igoumenitza e si protendono ancora più a sud: la costa si insinua dentro e fuori molti golfi e golfetti e anche le montagne salgono e scendono come per rincorrere le nuvole che vagano in cielo.
Siamo quasi pronti a prendere il mare quando compare un camper bianco con la fiancata ricolma di adesivi: una coppia di tedeschi dai capelli bianchi scende per chiedere informazioni sul posto e per rispondere ai nostri sguardi meravigliati quando notiamo una mappa del mondo con parecchi paesi colorati in verde, rosso e marrone. Ci spiegano che sono i luoghi visitati in dieci anni di viaggi tra la Terra del Fuoco e l'Alaska. Adesso stanno per lasciare la Grecia, risalire l'Albania e la ex-Yugoslavia e tornare a casa prima del grande caldo... Restiamo senza parole, a bocca aperta e completamente affascinati dalla loro avventura: in confronto, il nostro viaggio diventa un giretto intorno all'isolato!
Oggi il tempo è bizzarro: il sole ancora splende sulla spiaggia dell'imbarco ma dense nubi scure si addensano oltre i monti.
Siamo indecisi se tenere o meno il cappello nord-ovest a portata di mano, in caso di pioggia. Ci imbarchiamo sperando che non piova ma con addosso la giacca d'acqua a maniche corte. Dopo neanche tre chilometri, però, iniziano a scendere goccioline fredde e sempre più frequenti e dobbiamo fare una sosta per indossare la giacca d'acqua a maniche lunghe, anche se fino all'ultimo momento il sole ci tiene sulle spine perchè appare e scompare dietro le nuvole. Appena sbarchiamo brilla sullo specchio del mare, tanto da farci tentennare per l'ennesima volta. Ma non ci lasciamo ingannare: quando finiamo di vestirci, il sole si nasconde. E non esce più per il resto della giornata. E piove fino a sera!
E la costa è anonima, poco frastagliata, bassa e quasi completamente disabitata.
I cinque sensi sono tutti sollecitati: il tatto impegnato ad impugnare le nostre belle pagaie groenlandesi, finalmente restaurate dopo la lunga invernata di manutenzione; il gusto ancora stordito dai fruttini di mele cotogne con cui abbiamo pranzato, quelli fatti in casa dal Mammut che Mauro ha diviso in confezioni monodose sottovuoto; la vista abbagliata dal chiarore perlaceo di questa giornata invernale, anche se la scogliera è ricoperta dalle macchie gialle delle ginestre in fiore, oggi anche più lucide del solito per essere dilavate dalla pioggia; l'udito occupato a riconoscere i versi dei pochi animali che aleggiano all'intorno, qualche gabbiano familiare ed un airone che non si capisce come possa conciliare una tale eleganza nel volo con un verso tanto sgraziato. Ad un certo punto sentiamo anche i campanacci delle mucche al pascolo e tra la macchia bassa e rada scorgiamo il loro manto nero e fulvo. Quando abbiamo fatto la sosta per indossare le giacche d'acqua, siamo rimasti sorpresi anche da uno strano rumore di sottofondo, continuo e persistente, che sulle prime non siamo riusciti ad identificare: abbiamo impiegato qualche minuto per capire che si trattava del ronzio corposo di api e calabroni. "Chissà quanti saranno, dico a Mauro, e cosa ne sarebbe di noi se scendessero tutti in spiaggia". "Ma noi non siamo fiori", prova a tranquillizzarmi lui...
Il senso più sollecitato della giornata è senza dubbio il gusto. L'aria è intrisa di un forte odore di miele, simile a quello dei tigli in fiore all'inizio della primavera, ma talmente intenso che sembra di avere un barattolo di miele aperto sotto il naso. Siamo sottovento ed il vento spira da terra e così ci arrivano netti e diretti gli aromi della boscaglia bagnata dalla pioggia, della macchia mediterranea battuta dalle capre selvatiche e delle onde che ogni tanto frangono tra gli scogli e riempiono l'aria di iodio. Questo è per noi l'odore di mare, l'odore della vita di mare. Un miscuglio di profumi di terra e di aria che è possibile gustare solo dal kayak.
Fortuna che siamo sottovento, altrimenti la magia olfattiva sarebbe rovinata dal penetrante ed inconfondibile olezzo degli allevamenti ittici che si susseguono per oltre 10 chilometri (mai vista una così alta concentrazione di allevamenti!). In ogni ansa si scorge una casetta del custode, in mare una barchetta dal fondo piatto e ovunque boe gialle e arancioni che proteggono la zona dalla navigazione a motore. Noi ci troviamo spesso a entrare e uscire tra le vasche galleggianti ed i filari di bidoni blu per gli allevamenti di mitili. Capiamo così, dopo quasi quattro anni, l'origine di quei bidoni spiaggiati che notavamo in gran numero sulle coste dell'Isola di Eubea nel 2013: sono utilizzati per sostenere i filari di cozze, e qui sono talmente numerosi che si saranno sparsi forse fino al Mar Egeo...
Oggi le ore volano e ogni volta che abbasso lo sguardo sul gps leggo un numero in più sul totale dei chilometri percorsi: 10, 15, 18...
Quando finalmente si interrompere la monotonia di una pioggia che sembrava infinita, allora scegliamo il punto di sbarco.
Entriamo in una piccola baia contornata di piccole spiagge e raggiungiamo quella più lontana ed isolata. Il sole sembra gradire la nostra scelta al punto che, una volta messo piede a terra, colora il cielo di un bell'azzurro acceso, allontana le ultime nuvole e resta a splendere caldo e avvolgente fino al tramonto. Ci gustiamo il risotto alla cantonese accanto alla tenda, dopo aver perlustrato la spiaggia alla ricerca di sassolini maculati e di ricci spiaggiati da una recente mareggiata più rovinosa delle altre... La luna sorge quando siamo pronti per andare a dormire.

Il confine greco-albanese!
I colori del mare!

Mercoledì 10 maggio 2017 - 4° giorno di viaggio
Confine greco-albanese - Avlaki, Corfù (18 km di cui 3 in traversata)
Vento NW 10-12 nodi (F3-4) - mare calmo e poco mosso - 19°C
Abbiamo dormito sul confine.
Sulla linea sottile ed immaginaria che separa la Grecia dall'Albania.
E' segnato sulla carta e riportato nel gps e noi sappiamo che c'è solo perchè siamo in grado di individuare il luogo esatto lungo la costa.
Ma a terra, e anche in mare, non c'è nessun segnale. Non un cartello, nè un cancello, nè altro. Il confine è stato eliminato tanti anni fa, quando anche l'Albania è entrata a far parte dell'Unione Europea. E' un confine invisibile e quindi inesistente. Come dovrebbero essere tutti i confini del mondo.
Di qua e di là del confine immaginario la terra è la stessa, i colori e i rumori e gli odori sono gli stessi, le mucche e le pecore e le capre al pascolo sono le stesse e anche i pascoli sono gli stessi, i fiori e gli alberi sono gli stessi, gli stessi scogli di qua e di là del confine, la stessa costa, la stessa sabbia. E lo stesso cielo, anche. Di qua e di là del confine il mare è lo stesso: il mare unisce i paesi che separa, dice un grande poeta croato, il mare fonde le terre di confine: il mare è il luogo senza confine per antonomasia.
Oggi ci svegliamo in Albania.
Gli uomini fanno le stesse cose di qua e di là del confine: ci sono allevamenti ittici anche in queste baie, ci sono barche dal fondo piatto e casette di guardiani anche lungo la costa albanese, ci sono solo le bandiere a segnalare una differenza altrimenti incomprensibile (di là bianche e blu a righe orizzontali, di qua rosse con l'aquila gialla). Cambiano gli idiomi di qua e di là del confine e anche noi sembriamo cadere nella trappola della incomprensione linguistica: Mauro mi fa notare che se lui riesce a capire il napoletano "azzeffunnato" allora io posso sforzarmi di capire il meneghino "sgigutato" (analogo forse al greco antico "scotoliare"!)... Poi ogni cosa si risolve in mare. Il pescatore sulla barchetta a motore, che non sappiamo se parli greco oppure albanese, e che non sa se parliamo italiano o dialetto mescolato, usa il linguaggio universale dei segni: una mano alzata al cielo per il saluto, un sorriso come benvenuto e un mano portata al mento per l'invito a bere un caffè. Caffè, caffè, continua a ripetere a voce sempre più alta, convinto ormai di essersi fatto capire. Rispondiamo grazie, anche noi più volte, ma poi decliniamo l'invito perchè le nostre barche si dirigono in direzioni opposte. Altro sorriso e altre mani levate al cielo.
Anche noi facciamo le stesse cose: anche oggi litighiamo col tempo per capire se mettere o meno la giacca d'acqua. Partiamo senza, convinti che il sole l'avrà vinta sulle nuvole, e così succede. Ma appena oltre il primo capo, il vento si alza contrario (ovviamente!) e ci costringe a ripensare i nostri piani: dobbiamo fare una sosta veloce per indossare la giacca d'acqua. Troviamo un'isoletta di sabbia all'ingresso del Canale di Butrinto che fa al caso nostro ma nel mentre il vento rinforza: scartiamo la giacca a maniche corte e tiriamo fuori quella a maniche lunghe. E Mauro indossa anche il cappello nord-ovest, benchè ancora splenda il sole e se non fosse per questo vento polare sembrerebbe di essere in una giornata estiva: e noi due vestiti come dei palombari norvegesi!
Ad un tratto le prue dei nostri kayak virano da 280° a 010° e noi capiamo di essere entrati nel tratto più stretto del canale di Corfù.
Possiamo prepararci a traversare sull'isola più settentrionale delle Ioniche della Grecia.
Prima di lasciare l'ultimo breve tratto costiero dell'Albania, però, facciamo un altro incontro curioso: un nutrito branco di mucche al bagno se ne sta' con le zampe infilate nell'acqua fino ai garretti. Mai visto niente di simile. Ci avviciniamo timidi e muggiamo a nostra volta per farci accettare nel mucchio. Molte mucche si voltano a guardarci incuriosite ma i vitellini sono irrequieti e noi preferiamo allontanarci: con poche pagaiate recuperiamo l'acqua profonda e verdolina del canale di Corfù.
Traversiamo in poco meno di mezz'ora, con un forte vento contrario che non ci permette di superare i due nodi.
Ma siamo da soli in mezzo al mare, non avvistiamo nessun'altra imbarcazione, salvo un aliscafo albanese che corre lungo costa, su quello che ormai per noi è diventato l'altro versante del canale. Il braccio di mare è largo appena tre chilometri. Superiamo il primo segnale cardinale, poi il faro verde sulla scogliera allineato con quello rosso sull'isolotto di fronte e poi doppiamo anche il capo nord-orientale dell'isola di Corfù. Per tutto il tempo non incrociamo nessuno. Pagaiamo da soli, a testa bassa per via del vento contrario. Dopo un altro capo scegliamo di darla vinta al vento. Sbarchiamo.
Sulla spiaggia giusta. Lo scalino di sassolini è molto alto e dobbiamo ingegnarci un po' per tirare in secca i kayak senza spezzarci la schiena. Ma il sole splende alto in cielo, il vento prima o poi calerà e soprattutto alla fine della spiaggia s'intravede una taverna! E' nostra: dopo quattro giorni di navigazione e di stenti, ci meritiamo proprio una cena in taverna!
Mangiamo il tabulè di verdure più buono di sempre e le acciughe marinate più fresche di sempre. Accompagnate da tzatziki e crema di melanzane e spiedini di carne e patate fritte. Tutto davvero molto buono. Lo diciamo alla cameriera in un modo talmente entusiasta che lei, dopo averci fatto i complimenti per le poche parole greche usate per l'ordinazione, si sente di tradurci in greco anche i nostri complimenti: Inne poli kalo!
Tsipouro a chiudere la serata: il liquore di anice di questa regione greca è l'ideale per scaldarci fino al rientro in tenda. Kalinikta!

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